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CANNES 2022 Quinzaine des Réalisateurs

Recensione: Men

di 

- CANNES 2022: Nel suo nuovo film, Alex Garland vede l'inferno e si scopre che è un pittoresco villaggio inglese dove tutti sono Rory Kinnear

Recensione: Men
Jessie Buckley in Men

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, occupa un panorama di cinema di genere, capovolto e rivoluzionato dalla resa dei conti del #MeToo degli ultimi anni. Con registe e sceneggiatrici che stanno prendendo piede, opere come Una donna promettente [+leggi anche:
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hanno usato i tropi e le convenzioni dei film horror per riflettere su traumi, gaslighting e ruoli di genere, costantemente consapevoli di come il genere sia stato utilizzato nel passato per conclusioni misogine. Con Men, Garland - goffamente, anche se con sincerità - è entrato in un modello horror piuttosto ortodosso per dar sfogo ad alcune delle sue idee, sebbene abbia già affrontato questi argomenti in modo intelligente in Annihilation ed Ex Machina [+leggi anche:
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. Dopo che il film è uscito negli Stati Uniti due settimane fa, Garland è apparso per la prima volta a Cannes il mese scorso, dove Men era in proiezione speciale alla Quinzaine des Réalisateurs.

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Men mostra modestia e prudenza nell’affrontare un argomento importante e divisivo ma evita di esprimersi in maniera troppo provocatoria. La lista del cast è composta da soli quattro attori, che interagiscono con troppa misura, nonostante siano tutti eccellenti. E, con il mondo che passa dalla nuova normalità dell'era della pandemia a qualcosa di simile a quella precedente, questo sarà uno degli ultimi nuovi film ad essere girato secondo le più severe restrizioni anti-covid  (le prime riprese sono terminate proprio quando è ripartita la vaccinazione di massa), sebbene li utilizzi in un modo più intuitivo rispetto a gran parte di quello che abbiamo visto lo scorso anno. Per usare un'analogia con il mondo della musica, Men ti da la sensazione di un veloce EP pubblicato tra dichiarazioni più grandiose sulla lunghezza di un album, ma è un piccolo esperimento gratificante.

La logline è quasi di serie, ma Garland lo trasforma in una sorta di virtù. Harper (la grande Jessie Buckley) si è ritirata sotto shock in una tranquilla cittadina della contea inglese, dopo la morte, forse per suicidio, del marito James (Paapa Essiedu), violento e mentalmente in difficoltà. Vengono passati in rassegna tutti gli abitanti del posto prevedibilmente cordiali ma eccentrici - il padrone di casa, il vicario del villaggio, il bobby locale e altri - ma sono tutti interpretati, abbastanza abilmente, da Rory Kinnear, che offre una performance multipla che ricorda più l’Alec Guinness di Sangue blu che lo stile alla Mike Myers.

E questo è fondamentalmente tutto. L'arco narrativo del film procede con Harper che incontra ciascuno di questi "uomini" (solo il viscido padrone di casa, Geoffrey, ha un nome) e, pur non notandone le somiglianze, ne valuta la tossicità assoluta, la spiacevolezza e la minaccia che rappresentano. Più tagliente della tipica osservazione "tutti gli uomini sono uguali" è l'idea che il comportamento maschile possa essere inquadrato in un'entità o in un insieme di tratti, e che i personaggi di Kinnear ne manifestino ogni aspetto, il tutto per creare un vero calvario per Harper e la sua confidente Riley (Gayle Rankin), un'amica vista solo su FaceTime fino alla scena finale.

Garland mostra in modo percettivo come la rottura di una relazione eterosessuale possa creare in ciascuna metà della coppia sospettosità e allergia verso l'altro genere. Ma si ferma prima di esaminare davvero il patriarcato attraverso qualcosa che sia diverso da una generica metafora, e indebolisce la potenza complessiva del suo film, per quanto ben realizzato.

Men is a coproduzione tra Regno Unito e Stati Uniti di DNA Films e A24.

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(Tradotto dall'inglese)

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