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CANNES 2022 Semaine de la Critique

Recensione: The Woodcutter Story

di 

- CANNES 2022: È una brutta giornata per essere bravi nella fiaba finlandese inquietante e crudele di Mikko Myllylahti

Recensione: The Woodcutter Story
Jarkko Lahti e Iivo Tuuri in The Woodcutter Story

La felicità non è troppo complicata nel film finlandese The Woodcutter Story [+leggi anche:
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, presentato in anteprima alla Settimana della Critica di Cannes: la felicità è avere un lavoro stabile in un piccolo villaggio e una cena davanti alla televisione condivisa con la propria moglie. Il dolce boscaiolo Pepe (Jarkko Lahti) non chiede nulla di più, è perfettamente soddisfatto di ciò che ha già. Ma le cose vanno comunque a rotoli, e in fretta, poiché gli dei hanno smesso di ascoltarlo molto tempo fa.

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Nelle sue interviste, il regista Mikko Myllylahti ha citato The Book of Job, in cui anche il suo saggio protagonista soffre senza alcun motivo. Mi vengono in mente i racconti folcloristici dell'Europa orientale, dove i puri di cuore riescono in qualche modo a rimanere tali, anche di fronte al male implacabile. In tutte queste storie, Dio, se presente, è come un bambino annoiato che tortura un animale per vedere quanto può sopportare. Ma in The Woodcutter Story c'è un senso di vuoto opprimente. Se il dolore non ha senso e non c'è una ricompensa spirituale, lo si può solo accettare, o andare a schiantarsi contro la prima macchina che passa.

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a Hannu-Pekka Björkman, che sembra essere in ogni film finlandese che vedo, e non mi dispiace nemmeno - è una storia molto più crudele di The Happiest Day in the Life of Olli Mäki [+leggi anche:
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, di cui Myllylahti è stato co-sceneggiatore. Sembra proprio abbia un debole per i personaggi che si rifiutano di crollare, anche se il mondo intero dice loro di farlo. Gli altri potrebbero vederli come dei falliti, ma loro stanno bene: è così che sono costruiti. Anche Pepe è così.

Lahti (il protagonista Olli Mäki, che ha recitato anche nel cortometraggio Tiger di Myllylahti a Cannes) si immerge nella sua innocenza e nelle sue espressioni da film muto. È un'interpretazione toccante, a tratti quasi esilarante (Pepe è il tipo di persona che chiede a un fantasma "se va bene", con comprensibile fastidio del fantasma). Fa male vederlo rifiutato e solo, che singhiozza durante la pesca nel ghiaccio, ma Pepe non vuole riconoscere che "questa è la fine del nostro allegro villaggio". Probabilmente anche per il bene dei suoi figli.

È tutto un po' cupo, ma la stranezza di questo racconto lo bilancia bene. Le persone laconiche, con la faccia da poker, che calpestano la neve sembrano familiari all'inizio, così come la chiusura di una segheria, che ancora una volta lascia tutti senza lavoro o uno scopo, ma a una recitazione esagerata e i dialoghi assurdi vanno a sostituire il dramma sociale. "Domani è sabato. Ci riuniamo per discutere di questioni relative all'esistenza", dice una persona, perché il tipo di villaggio è proprio questo, mentre altri leggono Freud a letto, ridacchiando.

Episodi di violenza improvvisi e misteri mai spiegati riecheggiano un po' David Lynch - se si trovasse improvvisamente in Finlandia, cosa che dovrebbe assolutamente accadere - e rendono The Woodcutter Story una proposta sorprendentemente inquietante. Una piccola apocalisse è in avvicinamento, questo è certo, ma forse c'è qualcosa di liberatorio nell'accettare il fatto che la vita non ha alcun significato. Se si decide di essere una brava persona solo perché ci si sente a posto, anche di fronte alla disoccupazione, alla solitudine, alla pandemia o alla guerra, c'è un valore anche in questo. Soprattutto se non c'è nessuno che tiene il conto nell'aldilà.

The Woodcutter Story è stato prodotto dalla casa finlandese Aamu Film Company, e co-prodotto dalla danese Beofilm, l’olandese Keplerfilm e la tedesca Achtung Panda!. Le vendite sono gestite da Totem Films.

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(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)

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