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FILM / RECENSIONI Italia

Recensione: La tana

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- Con i difetti delle opere prime, quello di Beatrice Baldacci è un film personale di un’autrice da tenere d’occhio, che può suscitare empatia pur difendendo i suoi misteri con dolorosa reticenza

Recensione: La tana
Irene Vetere in La tana

Arriva oggi nelle sale italiane con PFA Films La tana [+leggi anche:
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di Beatrice Baldacci, film sviluppato all’interno del programma Biennale College Cinema 2020/21 e presentato in anteprima alla 78ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, dove ha ricevuto il Premio Hollywood Foreign Press Association. La tana ha una derivazione precisa: nel 2019 la regista esordiente era stata premiata nella sezione Orizzonti di Venezia per il cortometraggio documentario Supereroi senza superpoteri, con il quale Baldacci ripercorreva attraverso immagini d’archivio di famiglia la sua infanzia e il rapporto con la madre affetta da una malattia neurodegenerativa. È forte il legame con il bel documentario del 2002 Un'ora sola ti vorrei di Alina Marazzi, che ricostruiva la vita della madre Luisa, malata di depressione e morta suicida a soli 33 anni, montando i film amatoriali in 16 e 8 mm girati nell'arco di trent'anni dal nonno materno, l’editore milanese Ulrico Hoepli.

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Beatrice Baldacci è andata oltre in questa elaborazione del dolore sviluppando una sceneggiatura di finzione con Edoardo Puma e girando questo lungometraggio, interpretato da Irene Vetere e Lorenzo Aloi. Siamo in estate, ai giorni nostri, in una campagna del centro Italia dove vive il diciottenne Giulio con i genitori (Paolo Ricci e Elisa D’Eusanio), una coppia apparentemente di città che ha scelto di vivere d’agricoltura e piccolo allevamento.  Giulio è spensierato e vive la natura che lo circonda con autenticità. Rimane dunque turbato dall’arrivo, nella villa nei paraggi abbandonata da tempo, della ventenne Lia. Un turbamento anche e soprattutto erotico. Lia si mostra schiva, scostante, ma è attratta anche lei dal ragazzo. Il gioco sessuale è dominato dalla ragazza, che pretende piccoli gesti che mettono alla prova il ragazzo.

Il mistero della presenza di Lia è presto svelato. La ragazza ha portato nel luogo della sua infanzia la madre (Hélène Nardini) che sta perdendo le funzioni mentali. Una tana, come vuole il titolo, un luogo dove nascondersi, dove esprimere la propria sofferenza per il declino cognitivo della madre, rifugio-ricordo di un’epoca di felicità in cui rinchiudere per sempre la donna, già spettro balbettante e corpo indifeso a cui badare. Ma anche spazio che media il rapporto con la realtà esterna, zona franca di una pulsione illecita, quella della morte, che sfida il tabù della soppressione del genitore. La regista ci restituisce così classiche metafore filmiche, e l’allusione a Psycho di Hitchcock è prevedibile.

Ma dove Beatrice Baldacci - allieva di Daniele Ciprì - scopertamente omaggia il Cinema è in quelle misteriose sequenze di una natura a brevissima distanza - steli d’erba, insetti, fiori, cespugli - girate a bassa definizione e con luce naturale dal direttore della fotografia Giorgio Giannoccaro, che costituiscono il regalo finale della figlia alla madre e preparano la visione di quel giardino idealizzato e per questo inappagante che circonda la villa.  Con i difetti che caratterizzano le opere prime - in particolare la direzione degli attori - La tana è un film personale di un’autrice da tenere d’occhio, che può suscitare empatia pur difendendo i suoi misteri con dolorosa reticenza.

La tana è prodotto da Andrea Gori e Aurora Alma Bartiromo per Lumen Films in collaborazione con Rai Cinema e NABA-Nuova Accademia di Belle Arti.

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