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CPH:DOX 2022

Recensione: Girl Gang

di 

- Il terzo potente lungometraggio della regista Susanne Regina Meures ci apre gli occhi sul mondo spietato e senza compromessi dei social media

Recensione: Girl Gang

Presentato in prima mondiale al prestigioso CPH:DOX, Girl Gang [+leggi anche:
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della regista tedesca, ex studentessa della ZHdK di Zurigo, Susanne Regina Meures non indietreggia di fronte a nulla presentandoci i retroscena di una vita da influencer molto lontana da quello che il grande pubblico immagina. Marcato in ogni istante da un’aura (deliziosamente) angosciante, il terzo lungometraggio di Susanne Regina Meures si avventura tra le pieghe di un sistema, quello dei social media, nel quale la realtà si liquefà diventando puro etere, un “nulla” alimentato dai like e dai sorrisi simili a paresi facciali.

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Conosciuta e apprezzata da pubblico e critica grazie ai suoi film precedenti: Raving Iran [+leggi anche:
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(2016), vincitore a Visions du Réel nella categoria lungometraggi svizzeri più innovativi e Saudi Runaway [+leggi anche:
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(2020), presentato tra gli altri alla Berlinale 2020 nella sezione Panorama, Susanne Regina Meures torna alla ribalta con Girl Gang, sorta di fiaba grottesca su di una quattordicenne influencer di Berlino e le sue agguerrite adoratrici. Dopo aver affrontato la scena techno underground di Teheran e il patriarcato violento e opprimente dell’Arabia Saudita, Susanne Regina Meures si avventura nel dietro le quinte di un mondo, quello dei social media, che nasconde inquietanti segreti.

Leonie (aka Leoobalys) e la sua famiglia permettono, durante quattro anni, alla cinepresa della regista di diventare parte integrante del loro quotidiano, sorta di giudice imparziale che non teme la verità, per tremenda che sia. Nel mondo di Leonie, la spontaneità e la spensieratezza dell’adolescenza si trasformano in angoscia e autocontrollo maniacale. A questo proposito, inquietante ed estremamente giusta la scena in cui osserviamo la protagonista mentre clicca freneticamente sullo schermo del suo telefono fotoshoppandosi il viso. Il gesto è al contempo violento e meccanico, aggressione incosciente nei confronti di un corpo che appartiene armai esclusivamente al web.

Deprivata della sua identità “reale”, l’adolescente berlinese ha deciso di indossare la maschera paillettata della social media star, personaggio dipendente dall’adrenalina, dalla “fama” e dalle scarpe da ginnastica griffate. Senza talenti particolari ma con una grinta e una determinazione rari, Leonie ha costruito un impero a partire dalla sua cameretta alla periferia della capitale tedesca. Seguita da vicino per non dire da vicinissimo dai suoi genitori-manager che hanno lasciato i loro lavori rispettivi per boostare la carriera da influencer della figlia, Leonie sembra imprigionata in una realtà alternativa che si è trasformata con gli anni in prigione. Attraverso un dialogo a senso unico fatto di frustrazione e adorazione, Susanne Regina Meures mette in parallelo la vita dell’influencer con quella della sua più grande fan: Melanie, una ragazzina solitaria che vive la vita della sua eroina per procurazione, come una cenerentola dei tempi moderni. Interessantissimo e potente a questo proposito l’utilizzo di una musica classica dal sapore mistico e rituale che accompagna le immagini delle ragazzine in delirio, prostrate di fronte al loro idolo 2.0.

Girl Gang ci permette di osservare, al contempo affascinati ed inorriditi, la vita di Leonie fatta di sogni ed illusioni, di iper controllo e ricerca di una libertà impossibile, un mondo claustrofobico che rigetta qualsiasi interazione umana. Come ricordato dalla mamma di Leonie, il “solo” sacrificio al quale deve sottomettersi per la fama è quello di non avere amici o relazioni profonde al di fuori del mondo degli influencer. Un sacrificio questo che sembra ai suoi occhi irrisorio, come se ormai la figlia non fosse più nient’altro che un prodotto.

Girl Gang è prodotto da Christian Frei Filmproduktion e SRF Schweizer Radio und Fernsehen. Rise and Shine si occupa delle vendite all’internazionale.

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