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BERLINALE 2022 Panorama

Recensione: Myanmar Diaries

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- BERLINALE 2022: Il lavoro collettivo di dieci cineasti anonimi del Myanmar racconta l'anno di dittatura militare che il Paese ha subito

Recensione: Myanmar Diaries

Da un anno intero, il popolo del Myanmar vive sotto una brutale dittatura militare. Alcuni spettatori potrebbero ricordare il colpo di stato nel momento in cui è avvenuto, ma nel frattempo è scivolato fuori dai titoli dei giornali, e questo è esattamente il motivo per cui il lavoro della coppia di registi olandesi Corinne van Egeraat e Petr Lom è importante. Hanno vissuto in Myanmar per quattro anni, e l'anno scorso sono stati i produttori creativi di due cortometraggi, Sad Film e Letter to San Zaw Htway, presentati come opere anonime o collettive, che hanno debuttato rispettivamente a Venezia e all'IDFA.

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Presentato in anteprima nella sezione Panorama della Berlinale, Myanmar Diaries [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
è un film di 70 minuti realizzato da dieci registi anonimi birmani sotto il nome di The Myanmar Film Collective. A differenza del vincitore del premio per il miglior montaggio dell'IDFA 2020, Inside the Red Brick Wall, girato durante le proteste di Hong Kong e raffigurante un solo evento, Myanmar Diaries è un collage di brevi documentari e film che fornisce un resoconto completo del colpo di stato e della resistenza.

Aprendo con il surreale video di aerobica di una ragazza che ha accidentalmente catturato l'inizio del colpo di stato, ben noto su YouTube, il film, tra i suoi segmenti documentari, presenta filmati di brutale repressione. In una scena straziante, sentiamo una bambina piangere per sua madre mentre un gruppo di soldati cerca di entrare in casa e portarla via. In un video in stile thriller PoV, un uomo è sul suo balcone mentre i soldati tentano di fare irruzione, dicendo loro che verrà volontariamente. In uno dei pezzi più forti, una signora sulla sessantina dice letteralmente la verità al potere, ai soldati allineati nei loro veicoli, protestando per l'omicidio a sangue freddo di una ragazza. In un saggio autobiografico di grande impatto visivo, una giovane donna è fortunata di essere riuscita a raggiungere Bangkok, ma si sente in colpa per aver lasciato indietro i suoi amici e la sua famiglia.

I segmenti narrativi sono a volte poetici o allegorici, ma sono sempre dolorosamente schietti. Un padre va ancora al lavoro nonostante lo sciopero, temendo per il futuro di suo figlio, il quale viene evitato dai suoi amici perché suo padre è considerato un traditore del Movimento di Disobbedienza Civile, che guida le proteste. In un corto horror, un uomo è visitato da un fantasma che si siede sul suo petto mentre si addormenta guardando la TV. Un uomo prega per la moglie uccisa prima di suicidarsi. Una ragazza cerca di decidere se dire al suo ragazzo che è incinta mentre lui si prepara a scappare nella giungla per unirsi alla crescente resistenza.

La giungla è dove il film finisce, con le parole: "Ci sentite?". È un segnale di speranza, ma anche un grido d'aiuto. Questa è roba potente, non solo politicamente, ma anche artisticamente: nonostante l'aspetto lo-fi di tutti i segmenti, sono collegati in modo ammirevolmente coerente e hanno una cronologia ben costruita e dinamiche che tengono lo spettatore non solo impegnato, ma genuinamente commosso, e a volte anche sbalordito. La semplicità narrativa di alcuni filmati li rende solo più potenti, e le parti documentaristiche, il più delle volte riproduzioni di riprese in live su Facebook fatte nel tentativo di far circolare la storia, possiedono una cruda energia di disperazione, rabbia e protesta.

Se le news non mostreranno il Myanmar, lo farà il cinema, che ha il potere di trascendere i numeri e la pura storia per creare empatia e risvegliare l'umanità nel pubblico sedato dal mainstream e dai social media.

Myanmar Diaries è una coproduzione della casa olandese ZIN Documentary, quella norvegese Ten Thousand Images e il The Myanmar Film Collective. La compagnia austriaca Autlook Filmsales ne gestisce i diritti internazionali.

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(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)

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