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IFFR 2022 Bright Future

Recensione: A Human Position

di 

- Nel film di Anders Emblem, una giovane giornalista trova un senso al suo lavoro mentre indaga sull'espulsione di un richiedente asilo nella Norvegia rurale

Recensione: A Human Position
Amalie Ibsen Jensen in A Human Position

"Qual è la cosa migliore della Norvegia?" chiede Asta (Amalie Ibsen Jensen) alla sua ragazza, Live (Maria Agwumaro), mentre è sdraiata sul pavimento del loro appartamento. È appena stata in un centro profughi fuori città, e la giovane giornalista sta ora cercando di mettere a fuoco la sua esperienza per un servizio sul giornale locale. In quanto cittadini privilegiati, non possono lamentarsi. "D'altra parte, saremmo stupidi a non combattere per preservare tutto questo".

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Dopo il suo debutto nel 2018, Hurry Slowly, il regista norvegese Anders Emblem dà ancora uno sguardo alle sfide sociali in una piccola città, ambientando la trama del film nuovamente nella sua nativa Ålesund. Concentrandosi questa volta sui rifugiati, invece che sulla disabilità intellettiva, in A Human Position [+leggi anche:
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intervista: Anders Emblem
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riunisce anche gli attori di Hurry Slowly Amalie Ibsen Jensen, la protagonista Asta, e Lars Halvor Andreassen in un piccolo ruolo di fotografo. Il suo nuovo lavoro è appena stato proiettato nella sezione Bright Future dell'International Film Festival Rotterdam, dopo una prima al Tromsø IFF.

Come nei suoi titoli precedenti, Emblem sceglie di dare al suo film una sensazione di fluidità attraverso un linguaggio visivo che impedisce allo spettatore di sospettare che qualsiasi cosa possa disturbare la tranquillità di questo villaggio assonnato. In riprese lunghe e ampie, riprende la cittadina con una tenerezza inquieta, mettendo in mostra le sue strade deserte e il cupo sole di mezzanotte, che sembra non tramontare mai. Solo Asta rompe questo velo di sonnolenza, mentre cammina da e verso il suo ufficio.

All’inizio Jensen tradisce poche emozioni, la maggior parte dei dialoghi è riservata ai colloqui di lavoro. Ogni volta che Asta è da sola, nel bagliore dei suoi occhi si intravedere come una mancanza di scopo, lo sguardo fisso su un vuoto invisibile. Trascorrere del tempo con la sua ragazza è una routine amorevole ma ben radicata di cucina, giochi da tavolo e TV. C'è una monotonia, nel suo appartamento minimalista, che è una scelta di vita oppure un simbolismo scelto in un modo mirato.

Il suo interesse per il mondo che la circonda si riaccende quando legge di un richiedente asilo che è stato rimpatriato forzatamente nel suo paese d'origine dopo dieci anni, dopo che il suo datore di lavoro è stato coinvolto in un incidente di dumping sociale. Il rifugiato, Aslan, non compare mai nel film. Eppure, mentre Asta inizia a seguire le tracce della sua deportazione, Aslan diventa una presenza incombente sui contorni sfocati di un sistema burocratico che semplicemente non si sente responsabile.

"Sembra così vasto, ma allo stesso tempo così impenetrabile e trascurato", riassume Asta. Questo si traduce sullo schermo: il direttore della fotografia Michael Mark Lanham inquadra la donna ad angoli obliqui, facendola spesso scomparire durante una scena.

I dialoghi soffocati e la mancanza di uno sfondo musicale mettono in rilievo il suono ambientale, che si tratti del fruscio delle foglie, del fragore delle onde contro una barca o semplicemente del voltare la pagina di un giornale. Gran parte del dialogo ruota attorno alla collezione di sedie nell'attico di Asta. "È strano che ci sediamo su queste sedie", osservano le donne. Potrebbe essere un parallelo casuale con Aslan? Una dipendenza da qualcosa di così poco spettacolare, che ci offre comunque un punto d'appoggio nella nostra vita quotidiana? E che dire dei rifugiati, il cui sfruttamento ignorato è ciò su cui si basano i nostri privilegi? Asta potrebbe non avere una soluzione perfetta a portata di mano, ma può comunicare con i suoi lettori. Né lei né Emblem fanno una call to action, ma forse, come dice Asta, è solo un invito a un po' di compassione.

A Human Position è prodotto dal regista Anders Emblem, Stian Skjelstad e la società Vesterhavet.

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(Tradotto dall'inglese)

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