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FILM / RECENSIONI Italia

Recensione: Ero in guerra ma non lo sapevo

di 

- Fabio Resinaro ricostruisce un famoso caso di cronaca nera intrecciato con il terrorismo degli anni di piombo ma senza una vera contestualizzare storica

Recensione: Ero in guerra ma non lo sapevo
Francesco Montanari in Ero in guerra ma non lo sapevo

"È fatta, credo sia la volta buona", ha detto Alberto Torregiani, quando Cesare Battisti, conosciuto in Francia come scrittore di romanzi noir e condannato in Italia per terrorismo, nel 2019 è stato estradato dalla Bolivia dopo decenni di latitanza e si è assunto la responsabilità di diversi omicidi. Alberto è figlio di Pier Luigi Torregiani, gioielliere ucciso nel 1979 dai Pac - Proletari Armati per il Comunismo in una sparatoria in cui lo stesso Alberto rimase ferito e perse l'uso delle gambe. Custode della memoria del padre, Alberto è stato consulente sul set del film di Fabio Resinaro Ero in guerra ma non lo sapevo [+leggi anche:
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, la cui sceneggiatura firmata dal regista con Mauro Caporiccio e Carlo Mazzotta si ispira al libro omonimo di Alberto. Nelle sale italiane il 24/25/26 gennaio con 01 Distribution, è il quarto lungometraggio di Resinaro, dopo l’esordio inconsueto e brillante di Mine [+leggi anche:
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(diretto con Fabio Guaglione nel 2016 e distribuito in tutto il mondo) e due titoli successivi targati Èliseo Entertainment.

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Già dalle prime sequenze, il film punta tutta la posta sulla performance di Francesco Montanari (il Libanese di Romanzo criminale - La serie), che entra nel personaggio del gioielliere con ferocia e generosità. Il Torreggiani rappresentato da Montanari si muove nella Milano degli anni di piombo, in cui le rapine da parte di gruppi criminali e organizzazioni sovversive, i conflitti a fuoco, le gambizzazioni e gli omicidi erano all’ordine del giorno.  Aldo Moro era stato rapito e ucciso dalle Brigate Rosse sei mesi prima a Roma. Torregiani è un uomo che si è fatto da sé, un orologiaio workaholic che vuol fare il salto economico, sta aprendo una grande gioielleria con un prestito bancario, ha sempre con sé una Smith&Wesson calibro 38 per difendersi, è bravissimo a vendere collane e anelli attraverso una tv locale. Crede nel dio denaro e ha i suoi princìpi, ha adottato tre orfani, aiuta le famiglie senza casa del quartiere e finanzia una squadra di calcio giovanile. La moglie Marisa (Laura Chiatti) è una casalinga annoiata che legge riviste che parlano di emancipazione femminile e avverte il fascino dei giovani “rivoluzionari” che alla radio chiamano “porci capitalisti” quelli come suo marito. Gli orologi che Torreggiani colleziona nel suo studio e che il regista inquadra di continuo sono la metafora del meccanismo perfettamente sincronizzato della sua vita da uomo tutto d’un pezzo che ad un certo punto inesorabilmente si inceppa.

Una sera, al termine di una televendita, Torregiani è in pizzeria con la famiglia e il suo collaboratore Salvo Lo Russo (Gianluca Gobbi) quando entrano due rapinatori. Torregiani e Lo Russo reagiscono, nella sparatoria muoiono uno dei criminali e un cliente. I quotidiani descrivono Torregiani come un giustiziere, uno sceriffo a caccia di rapinatori. Il gioielliere diventa un bersaglio. Alle telefonate anonime e mute risponde “ma andate a lavorare, figli di papà!”. Il commissario Giardino (Pier Giorgio Bellocchio) gli mette la scorta, ma lui la elude, per andare a fare le sue vendite in tv. È un omicidio annunciato, e Torregiani va incontro alla morte, pistola alla mano, come un agnello sacrificale, come se fosse stanco di sostenere quel ruolo da duro. Nonostante Resinaro cerchi di anestetizzare l’aspetto politico della vicenda, con una struttura narrativa e scelte registiche che prediligono la strada del thriller, esce comunque fuori il ritratto di una nuova figura: quella del piccolo imprenditore rampante che utilizza il mezzo televisivo in modo martellante per creare il bisogno nel consumatore, e che contribuirà a quell’appiattimento culturale e dei valori che si è acuito con il tempo e la globalizzazione. Ma ricostruire i fatti di cronaca senza contestualizzare storicamente quel periodo difficile e confuso (perché ragazzi di vent’anni sparavano alla gente?) rende il film indecifrabile da parte di chi non è nato in quegli anni e non conosce la storia recente del Paese.

Ero in guerra ma non lo sapevo è prodotto da Luca Barbareschi per Èliseo con Rai Cinema.

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