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TORINO 2021

Recensione: Il Muto di Gallura

di 

- Il film dell’italiano Matteo Fresi, è un western elegante, ambientato nella Sardegna del 1850, su una storica faida familiare, che non approfondisce le ragioni di quella follia

Recensione: Il Muto di Gallura
Andrea Arcangeli in Il Muto di Gallura

È un antieroe, un outsider spietato che non ha niente da perdere, il protagonista de Il Muto di Gallura di Matteo Fresi, film italiano in Concorso al 39° Torino Film Festival. Un film che nasce da una leggenda della regione nord-orientale della Sardegna scaturita da fatti reali splendidamente fissati da un romanzo storico del sassarese Enrico Costa pubblicato nel 1884, a pochi anni di distanza dagli accadimenti. La storia - del libro e del film che dal romanzo ha preso spunto - ruota attorno a Sebastiano (Bastiano) Tansu, al centro della terribile faida tremenda che si scatenò tra le famiglie Mamia e Vasa dal 1850 al 1856 nel territorio di Aggius. Siamo in pieno Risorgimento, l’unificazione dell’Italia non avverrà prima di 10 anni e il Regno di Sardegna retto da Carlo Alberto di Savoia comprende, oltre l’isola, il Piemonte, la Liguria, Nizza e la Savoia.

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Sebastiano (Andrea Arcangeli), lo vediamo nei flashback delle prime sequenze del film, è un bambino nato sordomuto: in un mondo in cui la superstizione impregna l’aria, è considerato figlio del diavolo, e a nulla valgono esorcismi e magie. Ma il suo animo gentile lo rende un po’ la mascotte di alcune famiglie del villaggio di pastori in cui vive. Cresce con una sorta di furore trattenuto, e impara a sparare con il moschetto con una precisione che ha, effettivamente, del diabolico. All’esplosione della guerra tra famiglie, nata per motivi assolutamente futili, Sebastiano diventerà strumento di morte al servizio di Pietro Vasa (Marco Bullitta), animale inselvatichito che si aggira per i boschi galluresi e appare solo per colpire, sfuggendo ai nemici e ai soldati del re.

La bella cerimonia di fidanzamento iniziale, per un matrimonio che non si terrà mai, rivelano subito le doti registiche di Matteo Fresi, al suo primo lungometraggio. La fotografia di Gherardo Gossi cattura gli splendidi seppure aridi paesaggi intorno ad Aggius e Tempio Pausania e il montaggio di Valeria Sapienza supervisionato da Giogiò Franchini (Jonathan Demme e Paolo Sorrentino tra le sue tante collaborazioni) costruiscono il film come un serrato western classico in cui sparatorie e uccisioni si susseguono senza interruzione accompagnate dalla variegata gamma musicale dello score di Paolo Baldini Dubfiles. La sequenza omicida viene interrotta solo dalla impossibile storia d’amore tra il giovane protagonista muto e Gavina (Syama Rayner), la bella figlia di un pastore del luogo, prima del brutale epilogo.

Concentrato sullo stile, fatto di ampi movimenti di macchina che abbracciano uomini a cavallo che si stagliano sul panorama, Fresi (che ha scritto la sceneggiatura con Carlo Orlando) dirige gli attori in maniera piuttosto meccanica, affidandosi al volto angelico dallo sguardo furioso del protagonista, per ricreare una sorta di epopea nera dalle radici profonde. Ma è proprio la profondità di queste radici, e degli animi, che non viene rivelata, così come la psicologia che spinge questi uomini alla compulsività assassina che non risparmia bambini e donne anziane. Per lo spettatore è difficile cogliere i codici di quella legge non scritta che trascendeva la giustizia e  originava da un feudalesimo che aveva abbandonato quelle terre al degrado e all’anarchia. Il potere delle bande era spesso soffocato nel sangue dal potere centrale dai regnanti che malgovernavano e non avevano interesse allo sviluppo sociale ma anzi avevano ridisegnava i confini delle proprietà  terriere per avvantaggiava i ricchi,  mettendo fine alla libera proprietà  e alla secolare turnazione tra pastori e contadini nell’utilizzo delle terre.

Il Muto di Gallura è prodotto da Fandango e Rai Cinema, con il supporto della Fondazione Sardegna Film Commission. Fandango Distribuzione porterà il film nelle sale italiane.

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