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ASTRA 2021

Recensione: A Black Jesus

di 

- Luca Lucchesi torna nel paese del padre in Sicilia per raccontare una storia di fede e xenofobia

Recensione: A Black Jesus

Ci sono forse centinaia di documentari che esplorano, spiegano e approfondiscono il fenomeno migratorio che ha colto di sorpresa l'Europa lo scorso decennio, ma il regista italiano Luca Lucchesi lo affronta da un nuovo punto di vista nel suo film d'esordio, A Black Jesus [+leggi anche:
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, proiettato al concorso principale dell'Astra Film Festival (5-12 settembre, a Sibiu): un piccolo villaggio siciliano venera una statua nera di Gesù, mentre respinge i rifugiati africani ospitati nell'insediamento.

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A Black Jesus, un documentario prodotto dal celebre regista tedesco Wim Wenders, realizza un accostamento avvincente, mettendo insieme la fede cristiana (con il suo ancora attuale messaggio di accoglienza e predilezione dei più sfortunati) e la xenofobia. Il tutto è ambientato in un piccolo villaggio pittoresco che sembra aver ammucchiato tutte le sfumature dell'abbronzatura sulle pareti dei suoi palazzi, dall'arancione al marrone. A Siculiana, l'evento annuale forse più gioioso arriva ogni 3 maggio, con la Festa del Crocifisso, quando una pesante statua di Gesù nero viene posta su un piedistallo ancora più pesante, e poi portata da decine di uomini per le stradine del paese.

Certo, il documentario può mostrare nel dettaglio la profonda emozione e il fervore che gli abitanti provano prima e durante la processione, ma l'interesse di Lucchesi non risiede solo qui. Nella primissima scena, vediamo immigrati africani parlare del paradosso che troviamo al centro della situazione: "Alla gente qui non piacciono i neri, ma adorano una statua nera". Si tratta di un punto di partenza davvero interessante, e il documentario si propone di andare fino in fondo alla questione, presentando diversi e legittimi punti di vista nel corso dei suoi 90 minuti.

L’aspetto forse più significativo del documentario riguarda il futuro della comunità. Al di là delle prospettive dei rifugiati, che attendono i loro documenti (che molto probabilmente non arriveranno mai), può darsi che anche gli abitanti del posto non abbiano un futuro. Vediamo adolescenti desiderosi di partire per una vita migliore in un'altra parte d'Italia, o addirittura del mondo, oppure anziani che si lamentano del fatto che non ci siano più bambini che giocano per le strade di Siculiana, il che significa che tra una o due generazioni il paese sarà deserto. Eppure, la comunità respinge i nuovi arrivati, vedendoli come intrusi o addirittura criminali, quando forse sono dei salvatori pronti a iniettare nuova linfa in una comunità che sta ormai invecchiando.

Dal punto di vista dei rifugiati, spicca senza dubbio il personaggio di Edward, un diciannovenne del Ghana. Condividendo le sue esperienze, lo vediamo sconcertato per via della nuova situazione in cui si trova: senza lavoro e senza documenti, vive in un paese che lo respinge mentre si aspetta che ne impari la lingua. Eppure, per quanto difficile possa essere la sua condizione attuale, è sempre mille volte meglio di quello che potrebbe aspettarsi se tornasse in Ghana.

A Black Jesus è senza dubbio un invito alla comunicazione e all'inclusione. Sebbene esplori le questioni sociali (un dito viene puntato contro il governo italiano) che possono tenere separate le due comunità, quella locale e quella dei rifugiati, mostra anche un bel momento in cui quattro rifugiati vengono accolti come portatori del crocifisso alla festa. Vediamo l'effetto impressionante che la comunicazione e il compromesso possano avere su situazioni del genere ma, a prescindere dal modo in cui le comunità interagiscono, le politiche del governo sono l'unico mezzo per poter raggiungere una soluzione a lungo termine.

A Black Jesus è prodotto dalla tedesca Road Movies e coprodotto da NDR - Norddeutscher Rundfunk. Le vendite internazionali sono gestite da filmdelights.

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(Tradotto dall'inglese da Rachele Manna)

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