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BRIFF 2021

Recensione: Becoming Mona

di 

- Sabine Lubbe Bakker e Niels van Koevorden dipingono un ritratto di una donna condannata dalla sua gentilezza e dalla sua preoccupazione per gli altri a un'esistenza all'ombra di coloro che ama

Recensione: Becoming Mona
Tanya Zabarylo in Becoming Mona

Sabine Lubbe Bakker e Niels van Koevorden, notati nel 2014 con il loro documentario, Ne me quitte pas [+leggi anche:
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, firmano con il loro primo lungometraggio, Becoming Mona [+leggi anche:
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, selezionato al Brussels International Film Festival nel Concorso nazionale, il ritratto di un'eroina delle retrovie, che si dedica alla cura degli altri, e che dovrà imparare a non dimenticare se stessa, tratto dal best-seller dell'autrice belga Griet Op de Beeck.

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Mona ha 9 anni quando sua madre muore in un incidente d'auto. Quasi fin dall'inizio, la piccola si trova in una situazione di violenza emotiva intensa. Il padre, che era alla guida dell'auto, crolla nel cuore della notte davanti ai figli, poche ore dopo essere uscito di strada, interrogandosi su questo imprevedibile errore di guida.

Mona, spinta suo malgrado nel ruolo che le sarà proprio per i successivi trent’anni, si ritrova, all'età di 9 anni, a consolare il padre, dopo aver appena perso sua madre. Seguirà un susseguirsi di eventi e discussioni, visti con gli occhi di Mona (interpretata a 9 anni da Olivia Landuyt, poi da Tanya Zabarylo, attrice spesso vista in teatro e in televisione, che qui ricopre il suo primo ruolo importante al cinema), spesso spettatrice più che attrice della sua vita.

Nel corso di questi confronti, distribuiti su tre periodi principali della sua vita, separati da lunghe ellissi, Mona mantiene un profilo basso e porta sostegno, amore e incoraggiamento a suo padre (Tom Vermeir), ma anche alla sua matrigna (Wine Dierickx), una donna depressa che lascia che tutti i problemi della sua relazione ricadano sulle sue fragili spalle, ai suoi fratelli e sorelle (Tijmen Govaerts e Kyra Verreydt), al suo collega regista (Stefan Perceval), uno stalker patentato la cui unica modalità di comunicazione sembra essere l'aggressività, e al suo compagno (Valentijn Dhaenens), scrittore megalomane che sembra prendere Mona, drammaturga lei stessa, come infermiera privata, responsabile del suo benessere fisico e psicologico.

Sabine Lubbe Bakker e Niels van Koevorden avanzano su un filo sottilissimo, fatto di gesti e tocchi sottili. Mona parla poco, molto poco. Antieroina evanescente, stranamente sfuggente, ascolta, guarda, osserva. Quindi, con lei, ascoltiamo, osserviamo, scrutiamo. Scrutiamo sia le emozioni che affiorano nel suo sguardo morbido e spesso rassegnato, sia le mostruose e smisurate manifestazioni di ego che le si manifestano intorno.

Ad ogni nuovo incontro, speriamo in una reazione, come un riflesso pavloviano, che porti Mona a mandare all’aria tutte le relazioni tossiche che avvelenano la sua vita. Instancabilmente, mentre lei è lì, senza sosta, in supporto, si ritrova capro espiatorio, colpevole designata delle disfunzioni della sua cerchia familiare, professionale e amorosa. Arriviamo persino a biasimarla per essersi presa cura degli altri.

Tuttavia, la discreta Mona, che si nasconde per piangere durante una seduta di terapia di gruppo (scena incredibile in cui tenta un'esperienza di tipo rebirth, che sembra letteralmente bloccarla più che farla avanzare), va avanti, allegoria vivente di ciò che la psicologia moderna chiama carico emotivo o affettivo. E se si libererà, sarà sicuramente a modo suo, in silenzio e in tutta discrezione.

Becoming Mona, presentato lo scorso autunno al Festival internazionale del film di Gand, ha vinto a gennaio l'Ensor per la migliore coproduzione. È prodotto da Submarine (Paesi Bassi) e Lunanime (Belgio). Il film, che uscirà il 17 novembre prossimo in Belgio, sarà distribuito da September Films.

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(Tradotto dal francese)

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