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KARLOVY VARY 2021 East of the West

Recensione: Mirrors in the Dark

di 

- Lo sceneggiatore e regista esordiente Šimon Holý si è ispirato ai registi della New Wave cecoslovacca per raccontare la storia di una ballerina a un bivio della sua vita

Recensione: Mirrors in the Dark

Ci sono molti modi per salvare una relazione morente. Nei film di Hollywood, di solito è un atto o un evento esterno che spinge i protagonisti a tornare insieme involontariamente o inconsapevolmente. Ma queste facili soluzioni che assolvono i protagonisti dall'autoriflessione e dalle scelte difficili non sono la via del cinema europeo. Per il suo film d'esordio, Mirrors in the Dark [+leggi anche:
trailer
intervista: Šimon Holý
scheda film
]
, in competizione all'East of the West del Festival di Karlovy Vary, lo scrittore-regista Šimon Holý ha fatto sedere i suoi protagonisti, e lo ha fatto per fargli porre delle domande profonde, le cui risposte li aiuteranno a decidere se stare insieme o no. Sono anime gemelle o semplicemente non hanno il coraggio di separarsi?

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E queste non sono domande qualsiasi. Sono quelle sviluppate dallo psicologo Arthur Aron, che ha condotto uno studio per esplorare se l'intimità tra due sconosciuti può essere accelerata facendosi fare una serie specifica di domande personali. Sono domande che iniziano in modo generico: ti piacerebbe essere famoso? Poi diventano un po' più personali: qual è il più grande risultato della tua vita? E poi scendono fino all'essenza del proprio essere: quanto è unita e calorosa la tua famiglia? Senti che la sua infanzia è stata più felice di quella della maggior parte delle altre persone? Le 36 domande dello studio sono suddivise in tre serie, ognuna delle quali vuole essere più profonda della precedente.

Il film è stato girato in bianco e nero, e il regista si è ispirato alla New Wave cecoslovacca. Holý sfida il formalismo del linguaggio cinematografico mettendo la telecamera sopra la spalla di František (Borek Joura), che legge le domande dal suo cellulare a Marie (Alena Doláková). La telecamera immobile fissa Marie, e sono le sue reazioni che ci dicono molto di questa relazione fallimentare. La telecamera alla fine si stacca da Marie dopo che il primo set è finito, e vediamo immagini della sua vita da ballerina contemporanea che si prepara per uno spettacolo. Holý torna poi all'interrogatorio, e ogni volta che lo fa, sposta la telecamera un po' più vicino a Marie, con František che occupa meno spazio nell'inquadratura. Apprendiamo che Marie ha appena compiuto 30 anni e si sta chiedendo dove stanno andando la sua vita personale e la sua carriera di ballerina. Vale la pena salvare entrambe? Non è una decisione che František prenderà, e il fatto che vediamo solo oltre la sua spalla dimostra che il film, o il regista, non è così interessato a lui come personaggio. È più uno specchio per rivelare cose su Marie.

Mentre le domande sono affascinanti e alcune delle risposte sono illuminanti, un film così formale richiede un pubblico volenteroso. Questo richiede anche una simpatia per la danza contemporanea. Lo spettacolo che viene provato è basato su storie di eroine classiche del realismo letterario, come Maryša (i fratelli Mrštík), Nora e Hedda (Henrik Ibsen), tutte donne a un bivio nella loro vita. La parte finale della prova è che i protagonisti si fissino negli occhi per quattro minuti. Il fatto che il regista Holý scelga di non mostrare l'intero sguardo sembra confermare ciò che il dialogo ha suggerito: che la coppia non ce la farà. In compenso, il film mostra Marie che si esibisce nella danza, dimostrando che è una strana idea fare un test progettato per gli estranei come ultimo sforzo per salvare una relazione.

Mirrors in the Dark è una produzione cecoslovacca di šššššFilm, in co-produzione con Bridge Films e Silk Films.

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(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)

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