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LOCARNO 2021 Cineasti del presente

Recensione: Brotherhood

di 

- L’affascinante documentario del giovane regista italiano Francesco Montagner racconta la storia di tre fratelli sulla soglia dell’età adulta alle prese con un inquietante padre-padrone

Recensione: Brotherhood

Incentrato quasi esclusivamente su un gruppo di fratelli bosniaci, Brotherhood [+leggi anche:
trailer
intervista: Francesco Montagner
scheda film
]
scava in profondità nei meandri della mente di tre uomini in divenire fra responsabilità famigliari che pesano come macigni e un innato bisogno di libertà. Il film mette in scena un vero e proprio dilemma, quello del scegliere fra la “naturale” appartenenza a un intransigente clan e il bisogno di scoprire, anche sbagliandosi, chi si è veramente.

Il secondo lungometraggio di Francesco Montagner, in concorso al Locarno Film Festival nella sezione Cineasti del presente, è il risultato di lunghi anni d’osservazione, d’un lento guadagnarsi il rispetto di una comunità salafita, confinata nell’entroterra bosniaco, che vive al ritmo di quotidiane preghiere e pesanti lavori di pastorizia. Con una delicatezza e un rigore analitico rari, il regista si avvicina a Jabir, Usama e Useir, tre giovani fratelli che si trovano in stadi diversi della loro vita, mettendone in rilievo il rapporto complesso con il padre Ibrahim, un predicatore islamista radicale condannato a due anni di carcere per affiliazione terroristica. Lasciati per la prima volta da soli, i tre fratelli, a ognuno dei quali il padre ha affidato un compito preciso, dovranno fare i conti con una libertà che eccita tanto quanto spaventa.

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Francesco Montagner esplora un momento molto delicato della vita, quello del passaggio dall’infanzia alla vita adulta, complicato ancora maggiormente dall’allontanamento del padre, dal senso di responsabilità che pesa su di sé e dal desiderio, per alcuni esplicito per altri più difficile da esprimere, di ascoltare i propri desideri. Il maggiore dei tre fratelli, appena diciottenne, assume improvvisamente il ruolo del capofamiglia lottando allo stesso tempo con un turbamento tipico della sua età che lo porta a gustare sapori fino ad allora proibiti, il secondo, ancora fortemente attaccato agli insegnamenti radicali del padre, lo sostituisce in quanto pastore e il più piccolo cerca bene o male di portare avanti la sua scolarizzazione. Affidandosi alla natura che contrasta con il clamore cittadino per esprimere i tormenti, il mondo intimo dei suoi tre protagonisti, il regista ci regala un ritratto esteticamente affascinate e contenutisticamente complesso di tre uomini in divenire. Un ritratto che, senza puntare il dito contro nessuno, evidenzia comunque l’innegabile ruolo giocato dall’educazione famigliare sull’equilibrio emotivo d’ognuno di noi. Come avremmo agito al posto di Jabir, Usama e Useir? Saremmo stati capaci di ribellarci ad un padre autoritario e intransigente come il loro? Come questo avrebbe influenzato le nostre vite? Queste sono solo alcune delle domande che il film solleva cercando sempre di restare fedele al punto di vista dei suoi tre protagonisti. La costruzione sociale di una mascolinità feroce fra videogiochi sanguinari e giochi che mettono in scena una guerra ancora troppo vicina diventa il perno attorno al quale ruota un film che riesce a far trapelare la tenerezza, la fragilità e il bisogno d’affetto che vive in ognuno di noi al di là d’ogni genere. In divenire, combattuti fra doveri e desideri profondi, i tre protagonisti di Brotherhood rappresentano quello che di più conflittuale vive nella nostra società attuale fra cieco estremismo e libertà assoluta.

Brotherhood è prodotto dalla ceca Nutprodukce e coprodotto dalle italiane Nefertiti Film e RAI Cinema. Deckert Distribution si occupa delle vendite all’internazionale.

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