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VISIONS DU RÉEL 2021 Concorso nazionale

Recensione: Sognando un’isola

di 

- Il film di Andrea Pellerani ci trasporta su un’isola onirica e quasi deserta dove la natura si rimpossessa pian piano di quello che gli è stato tolto

Recensione: Sognando un’isola

Come una cartolina venuta dal futuro, Sognando un’isola, presentato in prima mondiale nel Concorso nazionale di Visions du réel, sembra mostrarci uno scorcio di quello che il futuro potrebbe riservarci se la Natura decidesse di riprendersi ciò che gli spetta di diritto. L’isola d’Ikeshima in Giappone, protagonista dell’ultimo film del regista ticinese Andrea Pellerani, funge in questo senso da esempio, da laboratorio nel quale testare le conseguenze di un ipotetico ribaltamento di potere fra uomo e Natura. Cosa accadrebbe se la frenesia consumistica che ci attornia cessasse improvvisamente? E se le armi con le quali imponiamo il nostro volere sugli spazi che ci accolgono smettessero di funzionare? Queste sono solo alcune delle domande che Sognando un’isola solleva catapultandoci in un mondo al contempo onirico e post apocalittico.

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La storia dell’isola d’Ikeshima, che Pellerani ha scoperto quasi per caso durante un viaggio in Giappone, condensa in sé passato, presente e futuro. Una sensazione di atemporalità che marca in profondità il film rendendolo quasi etereo, come una foglia che fluttua nell’aria senza una direzione precisa ma con la consapevolezza d’esistere. In poco più di vent’anni la popolazione dell’isola, per lo più minatori (con le loro famiglie) impiegati nell’estrazione del carbone, si è ridotta da diecimila a nemmeno cento anime. Uno stravolgimento dovuto alla chiusura della miniera, troppo cara (e sicuramente molto poco sicura) rispetto ad altri metodi d’estrazione, che ha, nel giro di nemmeno un anno, trasformato Ikeshima in una città fantasma. Una decadenza, per lo meno da un punto di vista antropocentrico, che mette in evidenza la spregiudicatezza della forza dell’uomo sulla Natura. Perché Ikeshima, i suoi bar, ristoranti, case e palazzi all’abbandono, ci provocano tanta nostalgia? Perché il silenzio e l’impossibilità di controllare la Natura che si espande a dismisura, ci incutono tanto timore? E se la frenesia di cui la nostra società consumistica è schiava ci avesse stordito a tal punto da spezzare quel legame indispensabile che ci lega alla terra che ci ospita?

Senza trasformarsi in trattato, Sognando un’isola ci spinge a confrontarci con i nostri fantasmi, ci obbliga a guardare il futuro, o per lo meno un futuro possibile, in faccia. Marcato da una prospettiva doppia: quella dei più anziani che ricordano con nostalgia il passato, e quella dei (pochi) giovani: i due soli allievi della scuola e i loro numerosissimi professori che sembrano vivere l’assurdità del loro presente come se niente fosse, Sognando un’isola mette i legami personali al centro del suo dispositivo filmico. Malgrado il progressivo sgretolarsi dei beni materiali sono infatti i legami forti fra i pochi abitanti rimasti, ma anche fra questi e i numerosi gatti che popolano l’isola, che permettono alla piccola e quasi utopica comunità di sopravvivere. E se la “normalità” non fosse alla fine che una costruzione della nostra mente? Lontano, lontanissimo dalle nostre abitudini consumistiche, il film ci trasporta in un mondo onirico senza leggi né tempo, un luogo polarizzato fra l’attrazione rispetto a rassicuranti abitudini passate e curiosità per un futuro dominato dalla Natura e dai suoi bisogni (troppo) a lungo soffocati.

Sognando un’isola, dedicato alla memoria di Tiziana Soudani, è prodotto da Amka Films Production e RSI Radiotelevisione svizzera e venduto all’internazionale dalla società rusa Antidote Sales.

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