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GLASGOW 2021

Recensione: Hors du Monde

di 

- Il secondo film del regista francese Marc Fouchard è intriso di cliché sull'arte e la follia

Recensione: Hors du Monde
Kévin Mischel in Hors du Monde

L’ispirazione: da dove viene? È qualcosa di divino o una misteriosa conseguenza dell'incontro del nostro io con il mondo, che non ha bisogno di essere spiegato quanto di essere espresso? In questo senso, potrebbe essere una forma di follia?

Marc Fouchard porta questa linea di pensiero alla sua logica, seppur deplorevole, conclusione nel suo secondo lungometraggio, Hors du Monde [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
, presentato al Glasgow Film Festival di quest'anno. Il film segue Léo (Kévin Mischel), un giovane molto tranquillo e riservato che lavora come tassista, il tipo di lavoro ripetitivo e silenzioso che gli permette di rimanere assorto nei suoi pensieri quanto desidera mentre guadagna abbastanza soldi per tirare avanti. Perché Léo è davvero più interessato alla sua musica che alle persone, che gli danno più fastidio che altro, specialmente quando gli chiedono di abbassare la musica durante la corsa – la sua musica, anche se non lo sanno.

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Léo è un tormentato artista Uber, e Fouchard vuole chiaramente che noi spettatori simpatizziamo con la sua situazione. L'intero film è assemblato per introdurci nello spazio mentale di questo individuo cupo e solitario: il sound design e il montaggio seguono la sua ossessione per la musica, i suoi lunatici ritmi elettronici ci accompagnano da un viaggio in macchina all’altro, da un cliente all’altro, dal giorno alla notte.

Ma è difficile accettare il tono estremamente serio dell'intera opera: piuttosto che autenticamente atmosferico, il mood oscuro appare forzato e persino infantile, associando l'espressione creativa alla solitudine e al tumulto interiore in un cliché noioso, piuttosto esasperante.

Il film non fa che confermare la sua diretta adesione a questa visione antiquata dell'arte e della vita quando Léo si ritrova ipnotizzato da uno dei suoi clienti: una giovane donna sorda (Aurélia Poirier) che è anche una ballerina. Privata del nostro più comune strumento di espressione – la parola – è libera, agli occhi di Léo, di usarne altri, più artistici e meno letterali e di esistere su un piano più alto – fuori dal mondo, se vogliamo. All'inizio speriamo che questa romanticizzazione piuttosto grossolana di una disabilità come una sorta di stato magico dell'essere appartenga solo a Léo e non sia condivisa dal film stesso, ma Fouchard non sembra in grado o disposto a mantenere una reale distanza dal suo personaggio e inquadra questo rapporto (disperato e ineguale non per colpa sua, e non per il fatto di essere sorda) come una tragedia triste e sfortunata. Forse se un budget maggiore avesse permesso a Hors du Monde di adottare un approccio visivo più stilizzato, allora questa cupa idea fiabesca sarebbe stata più convincente. Così com'è, le frequenti cadute del film in un'estetica inavvertitamente realista non fanno che evidenziare ulteriormente il ridicolo di questo artista autocommiserante.

Quando si rivela essere anche un violento assassino di donne, Léo non appare più misterioso, solo più patetico. Il suo desiderio di districarsi dalla realtà infelice e banale della sua vita arriva al punto di spingerlo a uccidere – cosa potrebbe esserci di più negazionista della vita di questo?

A volte Hors du Monde sembra celare un film più avvincente e viscerale su un serial killer completamente distaccato dalla realtà. Ma Fouchard è troppo preoccupato per la "psicologia" piuttosto poco originale e noiosa del suo personaggio (è tutta una questione di madre, ovviamente), e nel razionalizzare la follia del suo eroe, il regista trasmette una deludente e poco convincente visione in bianco e nero del mondo in cui la sensibilità emo di Léo viene spacciata per verità.

Hors du Monde è prodotto dalla francese Dacor Productions. Le sue vendite internazionali sono gestite da Reel Suspects.

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(Tradotto dall'inglese)

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