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FILM / RECENSIONI Svizzera

Recensione: The Saint of the Impossible

di 

- Il film dello svizzero Marc Wilkins mette in scena il quotidiano di una famiglia di immigranti clandestini nella New York dell’era Trump

Recensione: The Saint of the Impossible
Magaly Solier e Adriano e Marcelo Durand in The Saint of the Impossible

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, il primo lungometraggio dello svizzero Marc Wilkins, presentato in prima mondiale (in forma digitale) al São Paulo International Film Festival (22 October-4 November), si basa su un romanzo del pluripremiato scrittore olandese Arnon Grunberg. Interessato sin dal suo primo cortometraggio Hotel Pennsylvania, che è stato presentato in prima mondiale a Clermont Ferrand nel 2012, al quotidiano degli immigrati sbarcati sul, di certo non sempre accogliente, suolo statunitense, Marc Wilkins si avvicina questa volta ad una famiglia di peruviani sedotti dal sogno americano.

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Il trio di protagonisti di The Saint of the Impossible: una madre trentenne, Raffaella (interpretata da Magaly Solier, attrice peruviana conosciuta soprattutto grazie al suo ruolo da protagonista nel film La teta asustada [+leggi anche:
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di Claudia Llosa) e i suoi due figli adolescenti, Tito e Paul, riescono bene o male a cavarsela fra lavoretti precari e corsi di lingue aperti a quanti, come loro, cercano di avvicinarsi ad un sogno americano che gli sembra precluso. Raffaella, che non perde la sua grinta malgrado la fatica del quotidiano, incontra nel fast food dove lavora uno scrittore, di certo ambiguo ma apparentemente inoffensivo di nome Ewald. Sebbene quest’ultimo sembri genuinamente interessarsi alla piccola famiglia, ben presto Raffaella si ritrova nuovamente succube degli eventi. Convinto che la sua idea possa avere un successo fenomenale, Ewald la convince a lasciare il lavoro per cominciare un business di take away messicano incentrato sui burritos (e questo malgrado il fatto che Raffaella non sia messicana, in un amalgama razzista ormai percepita come banale). Un business casereccio e illegale che rischia di portare la famiglia allo scoperto facendoli espellere dal territorio nordamericano.

Parallelamente alle disavventure di Raffaella, che malgrado tutto non si pone mai in quanto vittima e che riesce a lottare contro il sistema con le poche armi a sua disposizione, seguiamo le peripezie di Tito e Paul (interpretati da Adriano e Marcelo Durand). I due fratelli, la cui ingenuità ci lascia a tratti sconcertati, si infatuano di un’affascinante ragazza croata (Kristin, interpretata da Tara Thaller) che partecipa ai loro stessi corsi d’inglese e che scoprono essere immischiata in traffici sessuali poco chiari. Un’infatuazione che si rivela fatale quando Kristin commette un omicidio e la polizia risale ai due fratelli che vengono rispediti senza troppi scrupoli in Peru.

Malgrado il numero decisamente elevato di eventi tragici che mette in scena, The Saint of the Impossible rimane sempre avvolto in un’atmosfera “bon enfant” che lascia a volte perplessi, abituati come siamo a immagini forti al limite dell’insopportabile. Un modo di procedere atipico che si spiega attraverso la volontà del regista di mai cadere in una sorta di miserabilismo un pò snob: “Non voglio che il pubblico si dispiaccia per i personaggi, perché la pietà implica normalmente un’attitudine di superiorità. Voglio che il pubblico ammiri questi immigranti, faccia il tifo per loro e ne sia toccato, ma da un punto di vista egualitario”. Sebbene il candore che avvolge il film possa risultare fastidioso, la magia che emana sembra calzare a pennello ai suoi personaggi, persi in un universo di cui non sembrano misurare fino in fondo i pericoli.

The Saint of the Impossible è prodotto da Dschoint Ventschr Filmproduktion, che si occupa anche delle vendite all’internazionale, dalla SRF Schweizer Radio und Fernsehen e da Teleclub AG.

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