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VENEZIA 2020 Settimana Internazionale della Critica

Recensione: Shorta

di 

- VENEZIA 2020: Frederik Louis Hviid e Anders Ølholm realizzano una dura crime story danese con un messaggio sociale, facendo prigionieri e mostrando poca pietà

Recensione: Shorta
Simon Sears in Shorta

Per coloro che cercano delle perle nella sezione della Settimana Internazionale della Critica di quest’anno alla Mostra del Cinema di Venezia, troveranno un bel macigno per quanto riguarda il film danese Shorta [+leggi anche:
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, la prima collaborazione sul grande schermo da parte dei registi Frederik Louis Hviid e Anders Ølholm. E’ una solida prova del nove di quanto lontano il cinema poliziesco nordico si è spinto nell’ultimo quarto di secolo.

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Venticinque anni fa, un film sfocato, a basso costo, apparve sugli schermi danesi. Prima di quel momento, il genere poliziesco nazionale era caratterizzato da attori distinti che recitavano tristi agenti di polizia, con difficoltà in famiglia e problemi di alcolismo occasionale lungo il percorso. Mentre alcune di queste produzioni sono state abbastanza avvincenti, Pusher, era tutt’altro che ragionevole. Le sue autentiche raffigurazioni, la violenza spregiudicata, la disperazione e forza pura hanno abbattuto le porte cambiando le regole del gioco. Da all’ora, come dichiarano gli ammiratori di The Killing, The Bridge e Department Q, quel gioco è stato consistente e, di tanto in tanto, elevato.

Questo è anche chiaramente il caso di Shorta, la comune impresa di Frederik Louis Hviid, regista della serie Follow the Money, e Anders Ølholm, scrittore dei film Letters for Amina [+leggi anche:
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e Antboy [+leggi anche:
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, e debutto sul grande schermo come regista da parte di entrambi. Siamo nella Danimarca odierna, una società

multiculturale ma segregata, piena di tensioni. Per ragioni ancora non chiare, un giovane immigrato di seconda generazione, che è stato preso in custodia dalla polizia, è ora in coma. Nel frattempo, gli ufficiali di polizia Høyer (Simon Sears, Ride Upon the Storm) e Andersen (Jacob Lohmann, recentemente visto in When the Dust Settles) stanno facendo un pattugliamento di routine a Svalegården, una zona ghettizzata principalmente popolata da immigranti. Quando si viene a sapere notizie della morte del ragazzo, iniziano le rivolte e si scatena l'inferno. I nostri due nervosi antieroi ci si ritrovano nel mezzo, camminando letteralmente attraverso fuoco, acqua, cemento e sangue per arrivare dall’altra parte.

Shorta – in Arabico “polizia” – presenta una storia densa, quasi senza scrupoli e mostrano praticamente zero pietà. Pietre e bottiglie volano in aria, le sparatorie e i combattimenti corpo a corpo sono brutali e molteplici, vedendo anche un furioso cane da combattimento fare la sua parte. Ma ci sono brave persone anche in un ghetto, le quali appaiono in alcune sorprendenti scene poetiche in cui Andersen viene sparato e riceve inaspettate cure mediche, offrendo un bagliore di luce in un tunnel apparentemente senza fine.

Tecnicamente parlando, Shorta può competere con un film tenace di John Carpenter o Walter Hill, con un’ambientazione atmosferica alla La Haine or Les Misérables [+leggi anche:
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intervista: Ladj Ly
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, e un tocco del suono di Gaspar Noé gettato nel mix. Mentre il tempismo del film, alla luce delle rivolte per George Floyd, appare straordinario, le sue osservazioni possono essere attribuite soltanto a l'astuta critica sociale sui generali incidenti sviluppati in questi tempi, fin troppo prevalentemente, presentata dai registi.

Shorta è stato prodotto dalla casa di produzione danese Toolbox Film, con le vendite gestite da Charades.

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(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)

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