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SERIE / RECENSIONI Italia

Recensione serie: Curon

di 

- Il supernatural drama diretto da Fabio Mollo e Lyda Patitucci ha una location eccezionale e una trama accattivante, ma il risultato è molto altalenante

Recensione serie: Curon
Federico Russo e Margherita Morchio in Curon

Se si vuole un assaggio di quanto potente possa essere una location all’interno di un’opera audiovisiva, ecco a voi Curon, la nuova serie originale italiana targata Netflix, disponibile da oggi sulla piattaforma di streaming in 190 paesi del mondo. In questa serie mistery-thriller-paranormal in sette puntate dirette da Fabio Mollo (Il sud è niente [+leggi anche:
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) e Lyda Patitucci (in passato regista di seconda unità per Matteo Rovere) il motore della storia è un vecchio campanile di una chiesa che spunta fuori da un lago, una visione spettrale e suggestiva che accompagnerà lo spettatore per tutto il tempo.

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Questo luogo esiste davvero e si trova in Alto Adige, a Curon Venosta, dove il vecchio paese incorniciato dalle montagne è stato sommerso da una diga artificiale e di esso non rimane che questo strano campanile che emerge dall’acqua. Ed è subito leggenda: si narra che in alcune notti si possa sentire il suono delle campane, nonostante siano state rimosse da 70 anni. In Curon, il suono delle campane è presagio di morte per chi le sente, ed è per questo che Anna (Valeria Bilello) è scappata dal suo paese natale quando era ancora un’adolescente, dopo la tragica morte di sua madre. Ma eccola tornare a Curon dopo 17 anni e con i suoi figli gemelli, la ribelle Daria (Margherita Morchio) e il più fragile Mauro (Federico Russo), dei quali era incinta quando lasciò il paese. Nessuno sembra contento di rivederla, primo fra tutti suo padre Thomas (Luca Lionello), che vive come un eremita, col fucile sempre in mano, nel vecchio hotel di famiglia, oggi in disuso.

Un altro a rimanere molto colpito dal ritorno di Anna è il fascinoso e inquietante Albert (Alessandro Tedeschi), guardia forestale sposato con la docile e remissiva insegnante Klara (Anna Ferzetti) e padre degli adolescenti Miki e Giulio (Juju Di Domenico e Giulio Brizzi). Si intuisce che tra Anna e Albert ci sia un passato, e quando la donna scompare improvvisamente, i sospetti ricadono su di lui. Ma a Curon niente è come sembra, e mentre Daria e Mauro continuano a cercare la madre nei boschi, aiutati in un secondo momento dai loro coetanei, emergeranno segreti, misteri e desideri repressi che coinvolgono tutta la comunità (a partire dal giovane Lukas, incarnato da Luca Castellano) e che hanno come denominatore comune quel suono di campane e dei lancinanti mal di testa che colpiscono chi le ascolta. Il lago si è risvegliato.

“Dentro di noi vivono due lupi, uno calmo e gentile, l’altro rabbioso e spietato; la nostra natura dipende dal lupo a cui decidiamo di dar da mangiare”, spiega Klara alla sua classe di studenti. Il tema centrale di Curon è l’identità e la ricerca di se stessi, le ombre che abitano ciascuno di noi. E il fatto che sia ambientato in un luogo dove la dualità è anche etnica (italiani/tedeschi) e dove il vecchio paese sotto il lago continua a dialogare con quello nuovo, arricchisce la trama di ulteriori strati e riflessi. Il risultato generale è però molto irregolare: i dialoghi non sempre sono all’altezza, alcune interpretazioni sono troppo sottolineate (le migliori risultano quelle di Morchio tra i giovani, e Ferzetti tra gli adulti) e certi elementi e azioni sembrano messi lì solo per confondere. Alcune rivelazioni, poi, arrivano fuori tempo massimo (quando già è tutto chiaro da un bel po’) e troppe piccole incongruenze (sceniche, testuali, di montaggio) minano un lavoro altrimenti molto accattivante, ma che fondamentalmente andava scritto meglio.

Curon è prodotto da Indiana Production ed è disponibile in esclusiva su Netflix da oggi, 10 giugno.

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