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BERLINALE 2020 Panorama

Recensione: Father

di 

- BERLINALE 2020: Il regista serbo Srdan Golubović ha portato il suo ultimo film, un mix di dramma sociale alla Ken Loach e road movie a piedi, nella sezione Panorama della Berlinale

Recensione: Father
Goran Bogdan in Father

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, che gli valse il Premio Speciale della Giuria al Sundance 2013 prima del debutto europeo al Forum della Berlinale, il regista serbo Srdan Golubović torna al festival tedesco – questa volta nella sezione Panorama – con Father [+leggi anche:
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.

Al contrario di quel film e del suo predecessore The Trap [+leggi anche:
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– riguardanti entrambi complicati dilemmi morali – l’ultima fatica di Golubović si presenta come una schietta saga sociale per poi trasformarsi in un road movie a piedi, prima di ricadere nella propria rabbia alla Ken Loach rivolta al sistema che, spietato, calpesta l’uomo semplice e ordinario. La trama si ispira a una storia vera ed è stata scritta in collaborazione con lo sceneggiatore croato Ognjen Sviličić (The Voice [+leggi anche:
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Il film si apre con una scena molto forte: una donna entra nel cortile di una fabbrica con i due figli e una bottiglia di benzina, minacciando di dare fuoco a sè stessa e alla prole se al marito non verranno corrisposti gli stipendi arretrati di due anni e la liquidazione dovutagli a seguito del licenziamento. Procedendo nel suo folle gesto, la donna si ustiona la parte destra del corpo prima che alcuni lavoratori intervenuti sul posto spengano le fiamme con alcune coperte.

Lei è Bilijana (Nada Šargin, magistrale in ognuna delle tre brevi sequenze nelle quali appare durante il film), la moglie di Nikola (Goran Bogdan, uno degli attori croati più richiesti del momento), il quale, informato dell’accaduto, lascia precipitosamente il suo lavoro – pagato alla giornata – di boscaiolo nella foresta. In seguito a una breve conversazione con la polizia, egli si ritova di fronte a una commissione formata da tre rappresentanti dei servizi sociali, guidata dall’arrogante e corrotto Vasiljević (Boris Isaković). Nikola viene così informato che i suoi figli verranno mandati in una casa famiglia, poiché è stato ritenuto incapace di prendersene cura, non disponendo in casa né di elettricità né di acqua corrente.

Inizialmente, Nikola è confuso e incredulo, ma non appena si rende conto dell’accaduto, decide di appellarsi direttamente al ministero per le politiche sociali, che ha sede a Belgrado. Inizia così la sua odissea di cinque giorni, che lo porterà a camminare per 300 km partendo dal suo paesino nel sud-ovest della Serbia, “per dimostrare che gliene importa”. Nello zaino porta soltanto una coperta, una bottiglia d’acqua, una pagnotta di pane e qualche fetta di pancetta.

Attraverso gli occhi di Nikola ci vengono mostrati i risultati disastrosi dei governi che si sono susseguiti nella nazione negli ultimi vent’anni: strade piene di buche, fabbriche e stazioni di servizio deserte, case di campagna e piccoli complessi residenziali fatiscenti… Ciascuna delle scene nelle quali il protagonista incontra altri personaggi – alcuni molto gentili, altri non particolarmente piacevoli – contribuiscono a creare un ritratto a tutto tondo della società, nella quale il sistema vigente favorisce soltanto chi è privilegiato e al potere, abbandonando l’insignificante individuo ordinario alla battaglia (già persa in partenza) per i propri diritti umani inalienabili. Tuttavia, Nikola non è un paladino della giustizia sociale: semplicemente, vuole riavere indietro i suoi figli. Interpretato da Bogdan con un’intensità estremamente elevata e naturale, egli è un uomo di poche parole ed è sufficiente osservare il suo sguardo e le delicate espressioni del suo viso per comprenderne la natura e lo stato d’animo.

Collaborando con il direttore della fotografia Aleksandar Ilić, il montatore Petar Marković, lo scenografo  Goran Joksimović e il compositore Mario Schneider, il regista è riuscito a portare in scena, nel primo e nel terzo atto, un intenso e potente dramma sociale; la parte centrale del film, invece, racconta il cammino del protagonista in una dimensione spesso allucinata, che rappresenta in modo convincente lo sfinimento e la volontà di ferro del personaggio.

Father è coprodotto dalla serba Baš Čelik, dalla croata Propeler Film, dalla tedesca Neue Mediopolis Filmproduktion, dalla francese ASAP Films, dalla slovena Vertigo e dalla bosniaca SCCA/Pro.ba. I diritti internazionali sono detenuti da The Match Factory.

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(Tradotto dall'inglese da Gaia De Antoni)

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