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IFFR 2019 Concorso Tiger

Recensione: Sons of Denmark

di 

- L’epico debutto di Ulaa Salim, sul terrorismo fanatico a Copenaghen, vede un poliziotto catturato tra l'islamismo e il nazionalismo

Recensione: Sons of Denmark

Apertura con il botto del Concorso Tiger all’International Film Festival Rotterdam (23 gennaio-3 febbraio) con il film del regista esordiente Ulaa Salim, Sons of Denmark [+leggi anche:
trailer
intervista: Elliott Crosset Hove
intervista: Ulaa Salim
scheda film
]
, un thriller esplosivo che, sulle orme di Martin Scorsese e Jacques Audiard, fonde politica, famiglia e poliziesco. Salim mostra Copenhagen come una città immersa nel caos, dove i nazionalisti bianchi di estrema destra si scontrano con i fondamentalisti islamici in una guerra culturale in cui ciascuna parte è alimentata dall'altra.

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Il titolo (lett. Figli di Danimarca) si riferisce a un gruppo di neonazisti che credono nel rimpatrio forzato, anche per i cittadini danesi di vecchia data. La loro ira è stata alimentata da un bombardamento che vediamo nella sequenza iniziale, prima dei titoli di testa. Dalle ceneri emerge Martin Nordhal (Rasmus Bjerg), che è il volto politico del nazionalismo. È il leader di un nascente partito politico che mira a ottenere voti da coloro che ritengono che l'identità etnica della Danimarca sia stata erosa consentendo agli immigrati di entrare nel paese. Sfortunatamente, Salim attinge a un clima politico che suonerà fin troppo familiare per il pubblico di tutta Europa e del mondo, poiché la retorica di Nordhal finisce per essere vincente.

Gli oppositori islamici di Nordhal si servono anche della sua retorica per radicalizzare i giovani nella lotta contro i Figli di Danimarca. Ed è così che un musulmano diciannovenne frustrato e arrabbiato, Zakaria (Mohammed Ismail Mohammed), viene indottrinato e prende parte a un attentato ai danni di Nordhal. Salim mostra come anche le argomentazioni più semplicistiche, su noi e loro, le guerre globali contro i musulmani e la creazione di un senso di comunità, possano influenzare i giovani e spingerli verso il radicalismo. Se tutto ciò sembra banale, è perché Salim vuole che lo sia, dato che ha un asso nella manica da giocarsi quando sposta abilmente l'attenzione dai radicali a un poliziotto, Malik (Zaki Youssef), specializzato nell'infiltrarsi in gruppi radicali.

Quando Sons of Denmark diventa uno studio sul personaggio di Malik, si fa più coinvolgente, con l'agente di polizia intrappolato nella sua doppia identità mentre cerca di portare avanti il suo dovere civico. Malik è la distrazione perfetta dalla solita narrativa thriller, il Taxi Driver che vive nel mondo di The Departed. Il film ha una scala epica, ma troppo spesso vira nel sensazionale quando vuole far capire meglio il suo punto di vista. Nell'epilogo, il tentativo di legare i demoni personali di Malik a una narrativa thriller porta a un finale che mostra quanto sia difficile liberarsi dalle strutture sociali e quanto, in questo mondo, il circolo vizioso si autoalimenti con successo. Eppure una tale lettura non riesce a celare la sensazione che le scene finali siano esagerate, troppo assoggettate agli elementi del genere e allo shock, mentre è invece lo studio del personaggio a fare da motore. Nondimeno, è un film ambizioso che segnala Salim come un talento da tenere d'occhio.

Sons of Denmark è prodotto dalla danese Hyæne Film, e New Europe Film Sales gestisce le vendite internazionali.

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(Tradotto dall'inglese)

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