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CANNES 2018 Cannes Classics

Recensione: The Eyes of Orson Welles

di 

- CANNES 2018: Attraverso disegni e scarabocchi realizzati da Orson Welles, il regista e accademico Mark Cousins ci dà un’idea di quest’uomo e del suo cinema

Recensione: The Eyes of Orson Welles

C’è ancora qualcosa da dire su Orson Welles? Dato il numero di libri e di film che sono stati scritti e realizzati sul regista di Quarto potere, qualcuno penserebbe di no, ma la specialità del regista e accademico nordirlandese Mark Cousins è quella di offrire un nuovo modo di guardare le cose. The Eyes of Orson Welles [+leggi anche:
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intervista: Mark Cousins
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, presentato nella sezione Cannes Classics del Festival di Cannes, inizia con Cousins che ottiene l’accesso ai disegni, schizzi e scarabocchi realizzati da Welles, dalla sua terza figlia, Beatrice. Successivamente Cousins utilizza queste immagini per rivalutare sia il corpus professionale impressionante di Welles che l’uomo. 

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Il documentario combina una serie di tecniche per raccontare la storia. Come si è visto nei suoi precedenti film, come A Story of Children and Film [+leggi anche:
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, che ha avuto la sua première a Cannes nel 2013, Cousins include se stesso per mettere in scena il mondo in cui si cimenta. C’è anche una narrazione, materiale d’archivio e un’intervista a Beatrice Welles, ma soprattutto c’è l’ombra del regista che molti hanno definito il più grande della storia del cinema. Il film inizia con Cousins che si chiede come Welles avrebbe visto il mondo digitale in cui viviamo oggi. Pensa che Welles si sarebbe divertito. Successivamente Cousins sposta la sua videocamera verso il cielo per guardare il panorama di New York e i suoi immensi edifici, simboli di potere. Crea un collegamento con le angolazioni della videocamera preferite dal regista come se provenisse dalla parole del film, ma questo è solo perché Cousins ci trascina in una storia che vuole raccontare, dandoci un momento per capire fino in fondo quello che già sappiamo prima di fare una rivalutazione.

Gli schizzi e i disegni, presi da un caveau a New York e portati in Scozia dal regista, improvvisamente trasformano il film in qualcosa di abbastanza diverso. L’inconscio esce allo scoperto. All’inizio, i disegni sembrano essere strani, dei modi per tuffarsi nelle storie sul lavoro di Welles sui diritti umani che Couins contestualizza nel mondo di Trump. Emerge che Welles era un uomo piuttosto integro quando si trattava di aiutare il prossimo. Poi Cousins osserva alcune manie di Welles nella sua vita e nelle sue relazioni, ma invece di avere un approccio scandalistico, prova a chiedere come il suo personaggio vedeva l’amore. Cousins è meno interessato al “cosa” e più interessato al “perché”, ed è per questo che i disegni sono prova di uno strumento indispensabile – una finestra sull'inconscio.

C’è a malapena un accenno a Quarto potere, poiché le bozze forniscono a Cousins nuove idee su alcuni lavori meno conosciuti di Welles, come Mr. Arkadin (1955) e il suo adattamento di Macbeth (1948), in cui regista ha recitato il ruolo da protagonista. Si tratta di film che a malapena vengono citati nei dibattiti sul lavoro di Welles, ma Cousins dimostra come la natura tagliente e frammentata di questi film siano specchi per il modo in cui il rinomato regista ha osservato il mondo visivo. E’ tutto bloccato dalla florida prosa di Cousins, che sembra raccontarci la più emozionante favola della buonanotte di tutti i tempi. E’ un film incredibile che soddisferà quelli più informati sul corpus di Welles oltre quelli che cercano un lavoro unico e accessibile.

The Eyes of Orson Welles è una produzione di Bofa in associazione con BBC e Filmstruck. E’ stata supportata dalla National Lottery attraverso Creative Scotland. Le vendite internazionali sono gestite da Dogwoof.

 

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(Tradotto dall'inglese da Francesca Miriam Chiara Leonardi)

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