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CANNES 2010 Concorso / Regno Unito

Loach in guerra sulla Route Irish

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La guerra è solo un business. Chiedetelo a Giulio Cesare, Attila, Napoleone, alla famiglia Krupp che costruiva cannoni, alla Bayer che produceva lo Zyclon B per le camere a gas naziste, alle piccole fabbriche europee di mine anti-uomo di cui sono disseminati i campi afghani, alle banche che lavano il denaro sporco, ai signori della guerra africani, al vice dell'ex presidente George W. Bush, Dick Cheney. Ribadirlo forse è necessario, mostrare la verità è ancora un atto rivoluzionario.

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. Questa coproduzione Regno Unito/Francia/Italia/Belgio/Spagna è il suo film più duro, sia dal punto di vista politico che visivo. Nessuno spazio all'ironia che caratterizza spesso il cinema del 73nne regista britannico e del suo fido sceneggiatore Paul Laverty.

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Route Irish prende il nome dalla famigerata strada che collega l'aeroporto di Baghdad alla "Green Zone", la strada più pericolosa del mondo. Loach si è sempre dichiarato contro l'occupazione ma non ha mai affrontato l'argomento con un film. Lo fa attraverso il mondo oscuro degli ex soldati britannici che lavorano per i contractor privati in Iraq. Molti di loro, come il protagonista Fergus (Mark Womack), piangono gli amici perduti nel conflitto e soffrono di stress post-traumatico. Fergus è tornato a casa, a Liverpool, a leccarsi le ferite e vivere con i suoi demoni. Il suo unico appuntamento è con la rabbia: il funerale di Frankie, suo inseparabile amico d'infanzia. Fergus ha ancora negli occhi il momento in cui ha convinto Frankie, che era un ex paracadutista, a entrare nel suo security team a Baghdad. 10.000 sterline al mese, tax free. Ora Frankie è in quella bara, sfracellato da un razzo che ha colpito il suo fuoristrada che percorreva la Route Irish. Accanto alla bara c'è Rachel (Andrea Lowe), la donna di Frankie, di cui Fergus è innamorato da sempre (ha un tatuaggio con il suo nome sul bicipite e le dice "con Frankie abbiamo sempre diviso tutto, tranne te").

La ricostruzione ufficiale dell'attacco non convince Fergus, che apre una sua personale inchiesta investigativa affiancato da Rachel. Laggiù Frankie è stato testimone di qualcosa che non doveva vedere e forse è stato ucciso dai suoi stessi colleghi. Fergus ingaggia una guerra senza esclusione di colpi con la società di sicurezza che ha fatto di loro "dei criminali pronti a riempirsi le tasche di denaro". E che dopo l'Iraq sta pensando di spostarsi in Darfur: sicurezza, apparati bellici e il gigantesco business della ricostruzione.

Loach ci spiazza con scene d'azione ad alta tensione della guerra (girate in una settimana di riprese in Giordania, lo stesso Paese scelto da Kathryn Bigelow per The Hurt Locker), sequenze di tortura (le stesse usate a Guantanamo) ed esplosioni, costruendo un thriller politico dai toni oscuri grazie alla fotografia dannatamente plumbea di Chris Menges, tornato a lavorare con il regista dopo vent'anni e le recenti esperienze con Stephen Daldry per The Reader [+leggi anche:
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e Tommy Lee Jones per The Three Burials of Melquiades Estrada. Mostrare la verità è ancora un atto rivoluzionario per Loach.

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