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Jeanne Waltz • Regista

L’arte di rompere il ghiaccio

di 

- Residente in Portogallo, dove ha girato numerosi cortometraggi ed un primo lungometraggio, la regista Jeanne Waltz torna in Svizzera per girare un film al femminile, A Parting Shot

Residente in Portogallo, dove ha girato numerosi cortometraggi ed un primo lungometraggio (Daqui p'rá alegria, 2003), la regista Jeanne Waltz torna in Svizzera per girare un film al femminile, Pas douce [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Jeanne Waltz
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scheda film
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Perché ha legato l’ambientazione del suo secondo lungometraggio nel Jura svizzero?
Jeanne Waltz: La situazione di questa città, che trovo molto cinematografica, somiglia al carattere del personaggio principale: è una piccola, grande città in mezzo agli abeti, molto rude al primo impatto, ma subito dopo accogliente e simpatica; è una città di frontiera. Molta gente trova il Jura deprimente, ma per me si tratta di un cliché psicologico elvetico molto strano.

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A Parting Shot è un film al femminile. Si tratta di una scelta intenzionale?
Diciamo che le donne, eccezion fatta per il ragazzino, ne escono sempre meglio degli uomini. O, almeno, sono più forti. Ciò detto, adoro il personaggio del padre di Marco: è un debole, ma anche tenero. Il medico affettuoso mi piace molto… è stato veramente un piacere lavorare con questi attori, tutti questi piccoli ruoli che evolvono intorno a Isild Le Besco.

Isild Le Besco ha accettato il ruolo all’ultimo minuto, immediatamente. Come mai ?
Per il ruolo di Fred, ho pensato a lungo a un’altra attrice eccellente, ma non se ne faceva nulla: non riuscivo a scrivere per lei. Prima che fosse troppo tardi, ne ho parlato ai miei due produttori. Per caso, Isild Le Besco era libera.

Fred, una giovane infermiera di 25 anni, inciampa sul paesaggio roccioso del Jura elvetico, ma soprattutto sulla tracotanza di un padre autoritario e glaciale...
È un uomo spigoloso, psicologicamente rigido e violento che le ha insegnato a sparare col fucile: avrebbe senza dubbio preferito avere un figlio maschio! Evidentemente, Fred non riesce ad affrancarsi dal modello militare paterno dal momento che il fidanzato è un doganiere in uniforme. Per sopravvivere, si è spesso attratti dalle strutture alle quali si vorrebbe sfuggire, sebbene la liberazione personale prenda talora un cammino tortuoso.

Marco, un ragazzino di 14 anni, trova una strada per fare breccia nel cuore di Fred…
Forse perché è più giovane, meno complessato, Marco scricchiola e si apre a Fred. Davanti a lui, lei non scricchiola mai. Insomma, lui evolve più rapidamente di lei. Ad un certo momento, ho pensato che questo film si sarebbe potuto chiamare "Lo scioglimento", in senso letterale — il disgelo, la fonte dei ghiacci. Il film finisce con un bel sorriso che si dischiude, appena prima che il fiume ricominci a scorrere, appena prima della primavera.

Come spiega la scelta della madre di Marco (Lio), che ha lasciato marito e figlio per andare a lavorare in Portogallo?
Penso che avesse bisogno di liberarsi di un quotidiano o di un lavoro pesanti, ma comunque soffre per la separazione e per il rifiuto da parte del figlio quando accorre al suo capezzale. Lei spera che il bambino comprenda un giorno la ragione che l’ha spinta a partire. Volevo inoltre che sfuggisse a un certo cliché miserabilista dell’immigrata. Lio imprime al suo ruolo una riservatezza, una tristezza ed un’interiorità potente paragonabile alla forza di Isild.

Alla fine, come definirebbe il genere del film?...
Diciamo... un percorso iniziatico?

...e la sua morale?
C’è bisogno che ce ne sia una? La morale del film — lontana dall’essere moralista — è semplice: si sta meglio con gli altri che da soli. Per quello che riguarda l’azione, direi: è sempre meglio pareggiare i conti.

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