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Pedro Almodóvar • Regista

Don Pedro de La Mancha

di 

- Il 16° lungometraggio di Almodóvar porta il regista alle sue radici, alle sue storie femminili e alla commedia, dopo i toni oscuri dei suoi drammi maschili

Cineuropa: Come nasce l’idea di questo film? Pedro Almodovar: L’argomento di questo film nacque mentre giravo La Flor de mi Secreto, un’altra pellicola ambientata nella Mancha, ed era una storia raccontata da Marisa Paredes, che avevo letto, successa a Puerto Rico. C’era un uomo che era stato lasciato dalla moglie, e non aveva quindi modo di vederla e di comunicare con lei. Aveva pensato, allora, a un modo infallibile per vederla, cioé uccidere la suocera e costringere la donna ad andare al funerale, così da poterle dire quanto l’amava e le mancava. Questo personaggio, che appare brevemente nel film, possiede un ristorante, che lascia nelle mani di una vicina perché lo gestisca mentre egli uccide la madre della sua ex-moglie, e lo indichi ad eventuali compratori. La vicina è Raimunda. Una volta iniziato con Raimunda, mi accorsi che, per rendere la situazione interessante, questa donna avrebbe dovuto avere, da questo momento, un enorme problema, e per questo ho decisi che anche lei doveva avere qualcosa a che vedere con la morte. Questo è stato l’inizio, non so se questo signore di Puerto Rico sia giunto ad uccidere la suocera o meno, però da lì nacque l’idea del film.

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è il ritratto di una Spagna nera, oscura, che si scontra con la sua linea colorata e piena di passione. Voleva riportare fuori la Spagna franchista per mostrare le passioni del suo popolo nonostante la dittatura?

In una certa maniera desideravo un vendetta, quel genere di nemesi storica che impiega secoli, e che un nipote, o nipote di nipoti, può ancora portarsi sulle spalle. Credo che questo accada in qualunque luogo della Spagna, non solo nella Mancha. Era importante, per me, mettere in risalto che esiste un’altra Spagna, opposta, che vive e sopravvive nonostante gli atti crudeli che si sono svolti lì e ce la fanno chiamare ‘Spagna nera’. La Mancha è una regione con una gran tradizione in questo tipo di tragedie.

Fino a che punto Volver può essere considerato un ritratto di Pedro Almodóvar?
In molte cose. Mi sono trovato più fragile di quando avevo iniziato a farla, ma non è una fragilità che ti rende più vulnerabile, ma forse più ‘morbido’. C’è una parte della mia vita con cui era difficile interagire, e rispetto alla quale, dopo questo film, mi sono rilassato un po’. Credo sia stato un processo salutare. Non faccio film per risolvere i miei problemi, direi il contrario: li faccio perché siano qualcosa di ‘repulsivo’ rispetto alla mia vita. Quando ho iniziato a girare questo film, però, non avrei potuto immaginare di incontrare davvero questi personaggi, incontrati da bambino. Quando vado nella Mancha, e non vado quasi mai, continuo a sentirmi bambino. Quando vado lì non sono più un regista acclamato o vituperato a livello internazionale, ma solo un bambino di8, 10 anni che se n’è andato, che è ancora sconcertato dal rumore che esiste in quei luoghi. Quando ho scritto la sceneggiatura sapevo che andavo a girarla nei luoghi della mia infanzia, ma non avevo previsto che la pellicola mi avrebbe dato una tale quantità di emozioni e sensazioni come quelle che mi ha dato. Lì i pozzi sono molto comuni, sono come ombelichi delle case de La Mancha. Mi sento come se avessi aperto il coperchio di un pozzo e mi fossi incontrato con una montagna di emozioni che sono molto positive per me, ma mi fanno sentire più fragile, più vulnerabile. Di fatto, questa pellicola mi porta alla memoria mio padre, mia madre, con una fragilità che credevo di aver superato. In ogni modo, sono grato per tutto questo.

Alcune voci dicono che questo film andrà a Cannes, in concorso...
Andare a Cannes non dipende da me, se non in parte. Hanno chiesto di vederla e dopo averla presentata ho chiesto alle ragazze se sarebbe piaciuto loro passeggiare per la Croisette, e mi sembrava apprezzassero. Considerato che abbiamo già inaugurato il Festival con La mala educacion [+leggi anche:
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, questa volta toccherà chiuderlo, ma non è molto interessante. Comunque, stavolta mi piacerebbe essere in concorso, ma al momento non abbiamo ricevuto risposta.

Ci vuol dire qualcosa in più sul personaggio di Penélope, che sembra un mix di Sophia Loren e Anna Magnani nel loro momento di gloria?
Quando si crea un personaggio, è fondamentale pensare al suo aspetto. Il personaggio di Penélope è una donna delle pulizie, molto umile.Sin da principio ho pensato alle maggiorate italiane degli anni ’50, perché qui la tradizione della donna di casa è più un’icona di bruttezza che di bellezza. Non volevo rendere Penélope brutta, mi pareva più interessante che fosse così, perché non tutte le donne che hanno problemi a casa devono essere brutte o prostitute. Per sottolineare i problemi che Penélope con sua figlia, mi sono ispirato alla Sophia Loren più popolare, quella che vendeva il pesce a Napoli. Ho trovato anche alcune foto di Claudia Cardinale, ne La ragazza con la valigia, soprattutto il taglio. Penélope è stupenda. E il suo trucco è ispirato più all’epoca di fine degli anni ’50, inizio dei ’60. Il riferimento ad Anna Magnani è evidente nell’inserto di Bellissima che ho messo nel film, che per me è l’immagine della maternità.

Per finire, vorrei chiederle di farsi una domanda e di rispondersi, come ha fatto nel press kit de La mala educacion.
Allora, risponderò a due domande. La prima, è la domanda che Carmen Maura fa a Penélope nel film. No, Penélope non si è rifatta il seno. Ha un seno stupendo e quando lei si muove si capisce che è vero. Secondo, ti dico di no, non sono il padre del figlio di Penélope. Non siamo incinti.

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