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Olivier Masset-Depasse • Regista

Cages, alla Festa di Roma

di 

Dopo due cortometraggi molto apprezzati, Chambre Froide (Camera Fredda) e Dans l'Ombre (Nell’Ombra), Oliver Masset-Depasse passa nuovamente dietro la cinepresa, accompagnato dal suo fedele produttore (Versus) e dalla sua attrice feticcio, Anne Coesens, per realizzare il suo primo lungometraggio. Cages [+leggi anche:
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(Gabbie), racconta una coppia,legata da una relazione così passionale, che quando l'uomo (Sagamore Stévenin)comincia a distaccarsi, Eva (Anne Coesens) decidedi rapirlo per riconquistarlo. L'incontro, con un giovane regista che ama le sfide, si svolge sul set che ricostituisce un insolito bar, pieno di animali impagliati.

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Il tuo primo film raccontava un conflitto molto violento tra una ragazza e sua madre. Il secondo seguiva una donna con dei disagi psichici in cerca di un uomo. In questo film, la protagonista tenta di riconquistare colui che ama. Sei attirato dalle passioni estreme? Olivier Masset-Depasse: Sì, sono attirato dal romanticismo dalle tinte nere… ciò che mi interessa, è rappresentare i problemi psicologici dei miei personaggi, immaginare cosa succede nel loro intimo. Eve è selvaggia, appassionata fino all’estremo, come può esserlo una donna o un uomo innamorati. Nella vita, raramente si passa all'azione, ma spesso ci si pensa. Io parto proprio dal desiderio di mostrare questo. E le mie referenze cinematografiche mi spingono verso questa ricerca. Amo molto Shakespeare, che è allo stesso tempo raffinato, complesso e sempre estremo. È sicuramente uno dei miei maestri.

Cages si costruisce come un’opera classica, in tre atti?
Per il momento sto cercando di procedere passo dopo passo...Comunque sì, mi baso su drammaturgie classiche, come appunto la tragedia greca. E, come regista, parto da queste immagini interiori, per svilupparle il più possibile e svelare l’intimità più profonda dei personaggi. L'originalità del film - o almeno quello che volevo fare- è che ci si identifica con la sequestratrice. Ci sono molti film che trattano il rapimento, ma lo spettatore non è mai dalla parte del sequestratore. La sfida del film per me sta proprio in questo voler creare un'identificazione con con il rapitore e non con il rapito.

E come si traduce visivamente questa interiorità di cui parli?
Ci sono pochi piani fissi. Il film è costruito sia con lunghi traveling che con piani filmati con la cinepresa a spalla. È un film selvaggio; ho voluto essere più vicino possibile al personaggio, vibrare con lui. Utilizzo delle immagini accelerate o sfocate. E volevo un ambiente caldo, sensuale. È un primo film tecnicamente ambizioso, relativamente costoso, i produttori sono più che coinvolti e danno tutto ciò che possono per il film… e quando dico tutto, è tutto! Ci sono state anche delle prodezze tecniche. È una grande opera prima, fatta con poco denaro. Sono contento perché la mancanza di mezzi non si vede. Non so se ciò servirà o non servirà… Anche se faccio film d’autore, sono molto «americano» tecnicamente parlando. Questo film, secondo me, conterrà più o meno 500 inquadrature, cosa notevole per un primo film. Ha un ritmo molto serrato perchè vorrei creare un nuovo genere: il film d'azione psicologico. Credo che il futuro del cinema sia nei generi atipici, un miscuglio di generi che generalmente non si mescolano. Ho basato il mio film su questo desiderio. Ma sarà comunque un film veramente belga (ride).

Cosa vuol dire totalmente belga?
Un film strano, ambiguo, malsano. Mi sento vicino a qualcuno come Fabrice del Welz (Calvaire), un cinema più pittorico, più estremo. Fabrice fa qualcosa di diverso rispetto a ciò che esiste in Belgio. Non che non rispetto coloro che fanno cinema oggi. Al contrario. Ma mi fa piacere vedere che c'è qualcosa di nuovo che nasce, lontano da un approccio documentaristico. Questo film sarà soprattutto fantasmagorico. Anche se penso di aver fatto un film molto chiaro, molto più chiaro dei miei cortometraggi. E ne sono contento perché se il fondo resta lo stesso, credo di essere riuscito ad essere molto più esplicito e chiaro. Sarà un film molto meno oscuro, meno ruvido, meno duro; un film più romantico. Nei miei due cortometraggi, avevo costruito storie con tonalità diverse. Soggetti duri in ambienti duri. In questo film, ho voluto un film pieno di sole, luminoso: una storia più vicina ad una tragi-commedia, con una punta di melodramma. Il bar è sia inquietante, sia divertente e la storia di coppia è romantica, di un romanticismo lezioso. Volevo raccontare qualcosa di non molto allegro in un ambientazione soleggiata.

Il perosnaggio interpretato da Anne Coesens è ferito. Nel tuo film precedente, il tuo personaggio era zoppo. È una cosa costante nei tuoi film mostrare l’interno delle persone attraverso i loro difetti fisici?
Si. Viene senz’altro dalla mia esperienza personale… Mi sono automutilato, nel periodo oscuro della mia adolescenza. È una costante che deriva anche dalle mie influenze cinematografiche, Tod Browning, David Lynch, David Cronenberg… autori che si sono interessati alle malformazioni e dalle deformazioni. Fa parte delle cose che mi sono imposto su questo film: osare andare verso qualcosa di anormale, sfiorare un confine al limite del ridicolo, senza mai caderci. Possiamo caderci, perchè nessuno è infallibile...(sorride)... ma la sfida è proprio questa.

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