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Martin Khoolhoven • Regista

"Ricreare il senso di coesione sociale"

di 

- Il pupillo del cinema indipendente Martin Koolhoven risponde ai bisogni del suo paese e realizza la sua prima commedia per il grande pubblico

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(Schnitzel Paradise), una commedia che ha tutte le carte in regola per diventare un grande successo commerciale, rappresenta un punto di rottura rispetto ai piccoli film d’autore della tua precedente filmografia. Perché questo cambiamento, e perché adesso?

Martin Khoolhoven: Non lo vedo come un vero e proprio momento di rottura; rispetto al mio modo di pensare o di fare film, individuerei piuttosto il punto di svolta tra De grot (The cave) e Het zuiden (South) [il suo ultimo e penultimo film prima di Het Schnitzelparadijs]. Anche se comprendo il ragionamento fatto da chi ha visto i miei lavori, dato che questo è il mio primo film per il grande pubblico. Ho sempre desiderato fare anche un film così, e mi sembrava il momento giusto per affrontare gli argomenti trattati in Het Schnitzelparadijs; Semplicemente, mi sentivo abbastanza sicuro di me per poter realizzare questo progetto nel modo in cui pensavo andasse fatto. Het Schnitzelparadijs è stato il primo film che ho diretto tenendo bene a mente i gusti dello spettatore del grande pubblico, e questo, al momento dell’uscita in sala, provoca un diverso genere di preoccupazioni. Tutto sembra funzionare a dovere prima dell’uscita, ma il giudizio definitivo ti arriva solo dalle cifre del box office.

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La situazione sociale e politica in Olanda ha influenzato la scrittura e lo sviluppo di film?
Ho avuto la netta sensazione che i dibattiti e l’attenzione pubblica avessero ingigantito i problemi relativi all’immigrazione e all’integrazione, creando una vera e propria spaccatura nell’opinione pubblica; e ciò non corrispondeva affatto a quanto potevo verificare nelle mie esperienze personali. Credo ci siano moltissime cose che legano ‘noi’ a ‘loro’ e vice versa, e volevo fare un film che desse un punto di vista ottimista su tutto questo. Ci sono aspetti positivi dell’esperienza degli immigranti in Olanda che devono essere portati alla luce, per cui l’idea di base era di realizzare una commedia divertente che potesse creare o ricreare il senso di appartenenza e di coesione sociale nel pubblico.

Quanto ha influito il successo della commedia sullo scontro culturale, Shouf Shouf Habibi [il film olandese di maggior successo del 2004] sulla realizzazione del tuo film?
Innanzitutto, non definirei la mia una commedia sullo ‘scontro culturale’, ma sul ‘multi-culturale’; Het Schnitzelparadijs non parla dello shock dello scontro tra culture diverse, è semplicemente ambientato in un contesto multi-etnico. La sceneggiatura di Het Schnitzelparadijs [tratta dall’omonimo romanzo del 2001 di Khalid Boudou] era in sviluppo ancor prima dell’uscita di Shouf Shouf Habibi, anche se io sono entrato nel progetto successivamente. Quanto al buon risultato di Shouf, avendo dimostrato che anche una commedia su questi temi poteva avere successo, ha certamente reso le cose più facili a chi doveva trovare i finanziamenti per il progetto. Tuttavia, per quanto riguarda il film in sé stesso, non è stato un vero e proprio punto di riferimento per il mio lavoro di regista.

Si può parlare di una tendenza del cinema olandese verso il multiculturalismo?
Spero proprio di sì. Non credo sia una coincidenza che siano stati realizzati questi film, né che ce ne siano altri in cantiere. Questi lavori hanno avuto un ottimo risultato di pubblico e di critica dimostrando che esiste un mercato per quei film che parlano di questo genere di tematiche e, come per tutti i successi commerciali, è probabile che verranno seguiti da altri film dello stesso genere. Spero soltanto che questo fenomeno sia visto dalla gente nelle suo giuste proporzioni; la cosa più importante è che questi film riflettano la società dalla quale provengono. Questo non accadeva da lungo tempo in Olanda e dobbiamo essere pronti ad accogliere il cambiamento; forse con Shouf e Het Schnitzelparadijs abbiamo iniziato a colmare questa lacuna.

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olandese [un dramma duro e onesto su due immigrati turchi in Germania]?

Sarebbe fantastico, ma è un’altra cosa ancora; il regista [Fatih Akin], diversamente da me, ha vissuto in prima persona l’esperienza dell’immigrazione. In Olanda ci sono ancora pochi attori, e ancora meno registi e sceneggiatori, provenienti da diverse culture. Forse in futuro andrà meglio.

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