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CANNES 2022 Semaine de la Critique

Emmanuelle Nicot • Regista di Dalva

"Volevo raccontare il dopo, dove risiedono i traumi"

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- CANNES 2022: La regista belga parla del suo ritratto sorprendentemente luminoso di una ragazzina di 12 anni che dovrà riprendere in mano la storia della sua vita

Emmanuelle Nicot • Regista di Dalva

Incontro con la regista belga Emmanuelle Nicot, selezionata alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes con il suo primo lungometraggio, Dalva [+leggi anche:
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. Il film è un ritratto sorprendentemente luminoso di una ragazzina di 12 anni allontanata dal padre incestuoso, che dovrà riprendere in mano il racconto della sua vita per riconciliarsi con la sua infanzia e la sua femminilità.

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Cineuropa: Com’è nato il progetto?
Emmanuelle Nicot:
Avevo già esplorato molto il tema del controllo nei miei cortometraggi. Poi mi sono immersa in un centro di accoglienza di emergenza, tra i giovani affidati alle cure a causa di abusi. Erano stati allontanati dalle loro famiglie, eppure continuavano a stare dalla parte dei loro genitori di fronte alla giustizia. La negazione era molto forte.

Avevo anche sentito la storia del padre di una mia amica, che era un educatore. Un giorno si è trovato di fronte a una bambina di sei anni, fortemente sessualizzata, che viveva da sola con il padre. Da tutto ciò è nato Dalva. Mi sono chiesta chi sarebbe diventata questa bambina all'età di 12 anni, all’età in cui arriva la pubertà biologica, l'età delle prime emozioni.

Il film arriva dopo la crisi, dopo l'incesto. Dalva dovrà scrivere la propria storia, per non essere più il personaggio di quella scritta da suo padre.
Sì, esattamente, è un racconto di formazione al contrario, deve uscire dalla narrativa imposta. Vive da anni da sola con il padre, non frequenta la scuola, non ha referenti esterni. Non ha nessuno da amare tranne suo padre, e non è amata da nessun altro. Per Dalva, tenerezza, sessualità, amore paterno, tutto è mischiato. Bisognerà portarla via dal padre perché possa superare la negazione, riappropriarsi della sua storia, uscire dallo status di oggetto del desiderio per diventare il soggetto del proprio desiderio.

Dalva è un'adolescente che si vede come una donna. Sia fuori che dentro. Per lei, il suo posto è con gli adulti. C'è una distorsione quando si ritrova in istituto. Non si vede come una ragazzina della sua età. Questa discrepanza mi interessava enormemente. La troviamo anche in Canine [+leggi anche:
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intervista: Yorgos Lanthimos
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di Yorgos Lanthimos, anche se il soggetto è ben diverso. È anche una storia di controllo e reclusione, di bambini che si sono costruiti su ciò che i loro genitori hanno raccontato loro. Scoprono che in realtà il mondo non è quello.

Il controllo è qualcuno che ci dà la sua visione del mondo, che assumiamo come se fosse la nostra. Quando usciamo dalla morsa, ci rendiamo conto che non era la nostra visione. C'è qualcosa di molto cinematografico in questo. Questa femminilità, visivamente, la possiamo decostruire. È possibile materializzare la liberazione da questo controllo.

Si può parlare di rapporto con il costume, come modo di recitare un ruolo, e come protezione?
Quando Dalva arriva in istituto, è vestita da signora, una signora di classe. Per me era importante che Dalva non fosse Lolita. Non c'è né volgarità né erotismo, era così dalla scrittura, ho lavorato molto con la costumista. All'inizio, Dalva pensa che il suo costume sia parte di lei, che costituisca la sua identità. Quando le viene chiesto di spogliarsi all'inizio del film, è una violenza terribile per lei.

Volevo raccontare l’incesto nel profondo, la parte sommersa dell'iceberg, il modo in cui suo padre l'ha trasformata, e come dopo la si voglia trasformare di nuovo in istituto. Volevo parlare di incesto, ma non mostrarlo. Volevo raccontare il dopo, dove risiedono i traumi.

La visita in carcere a suo padre è un innesco. Lo scontro è violento, ma alla fine la libera dalla narrazione di suo padre. Solo la sua parola, la sua confessione, possono permetterle di pensare al futuro. È qui che inizia a guardarsi intorno, e non più solo dietro di sé.
È strano, perché mi ci è voluto molto tempo per scrivere il film, e per molto tempo l'incontro con il padre non c’era. Nei miei cortometraggi il carnefice non è mai rappresentato frontalmente. Ma ero bloccata nella mia storia. La negazione di Dalva è così potente che solo la confessione di suo padre poteva farla uscire da questa morsa, per morire e rinascere.

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(Tradotto dal francese)

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