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ROMA 2021

Giuseppe Bonito • Regista di L’Arminuta

“L’Arminuta è una sintesi tra i vari dualismi che abitano questo film, è il tentativo di conciliare gli opposti”

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- Il regista svela alcuni dettagli del suo terzo lungometraggio, presentato alla 16ma Festa del cinema di Roma e vincitore del Premio BNL

Giuseppe Bonito  • Regista di L’Arminuta

Presentato in prima mondiale alla 16ma Festa del cinema di Roma, L’Arminuta [+leggi anche:
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(nelle sale italiane dal 21 ottobre con Lucky Red) ha regalato al suo regista, Giuseppe Bonito, il Premio BNL, un nuovo riconoscimento dedicato a un autore che si sia distinto per la qualità del lavoro, il coraggio di innovare e sperimentare, la capacità di interpretare il presente con uno sguardo sul mondo. “Ero consapevole di averci messo una grande sensibilità in questo film, ero con la coscienza a posto, diciamo così. Ma poi non puoi mai sapere, tanti fattori influiscono sulla percezione che uno spettatore o un critico possono avere”.

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Cineuropa: Quali sono le osservazioni sul suo film che l’hanno colpita di più in questi giorni a Roma?
Giuseppe Bonito: Per me dirigere un film è un atto istintivo, cerco di predeterminare il meno possibile. Scoprire quello che gli altri percepiscono è prodigioso, mi fa capire meglio il lavoro che ho fatto. Una cosa che è stata notata, e che mi ha fatto molto piacere, è il lavoro notevole che hanno fatto gli attori, ai quali sono infinitamente grato. Per me è sempre una piccola scommessa, perché ho una modalità atipica di costruzione del cast, non faccio provini, mi imbarazzano. Mi fa anche piacere che si percepisca la forza di un racconto in cui le protagoniste sono donne. Cercavo da tempo una storia in cui da maschio potessi esplorare il mondo femminile, sia quello dell’infanzia che quello adulto, e i sentimenti che intercorrono nell’interazione tra questi due. Mi interessava anche, ma con il grado di comprensibilità limitata che può avere un maschio, l’esplorazione nel concetto di maternità. Più che maternità imperfette, quelle del film le chiamerei maternità particolari, perché c’è un sentimento di ricerca dell’altro che è sempre costante e forte.

Il film è tratto dall’omonimo libro di Donatella di Pietrantonio, che ha scritto anche la sceneggiatura con Monica Zapelli. Che cosa l’ha colpita di più di questa storia?
Personalmente, faccio ancora fatica a rispondere, il libro mi ha toccato corde in modo profondo e potente, è stato come trovarmi di fronte a uno specchio, ed è strano perché è una storia tutta al femminile. Come regista, è una storia straordinaria, intensa, un luna park dei sentimenti e dei conflitti. Alcuni aspetti mi hanno agganciato subito: è stato come guardare una vecchia fotografia, ho ritrovato facce, ambienti, situazioni, odori riconducibili alla mia infanzia. Non avevo mai letto un libro che desse una tale profondità a questo tipo di persone.

Nel film, quali cambiamenti o rinunce sono state fatte rispetto al libro?
La scrittura di Donatella è importante, ogni parola è talmente densa che non basterebbero tre stagioni di una serie per trasporre tutto. Ci siamo concentrati sugli elementi di interesse più importanti, ossia il quadrilatero tra le due madri e le due sorelle, che è essenziale per portare avanti la narrazione. Ma anche gli uomini sono importanti: Ferracane è riuscito a dare al personaggio del padre un’intensità costante senza parlare quasi mai, mentre Vincenzo è l’unica figura che prova ad affrancarsi da un destino. Per tutti, alla fine, l’Arminuta è un’occasione di fuga da qualcosa.

Il film presenta due mondi opposti: moderno e arcaico, città di mare e paese dell’entroterra, dialetto stretto e lingua italiana. Come ha lavorato su questo dualismo?
Il film ha una polarità marcata ed è stato questo dualismo a guidare sia la scrittura che le scelte registiche, a livello di fotografia e di lavoro con gli attori. I personaggi delle due sorelle e delle due madri sono ben identificabili nella realtà ma hanno anche una portata simbolica molto forte. Ma il dualismo è il punto di partenza, non l’esito. L’Arminuta è una sintesi tra i vari dualismi che abitano questo film, è figlia di due madri e di nessuna, è il tentativo di conciliare gli opposti. Le madri sono due donne diversissime ma sono accomunate dalla stessa infelicità, e tutti sono accomunati dal bisogno dell’altro. I momenti più forti del film, almeno per me quando li giravo, sono quelli in cui i personaggi si sfiorano, c’è un contatto fisico. Sono i momenti in cui questi mondi entrano in contatto, e sono le situazioni più esplosive perché c’è come un magma, un non detto che in quel momento prorompe nella scena.

Se non ama fare i provini, come ha scelto il cast?
Il cast è composto da persone a cui già pensavo, in primis Vanessa [Scalera] ed Elena [Lietti], ma anche [Fabrizio] Ferracane e [Andrea] Fuorto. Le ragazze invece le abbiamo cercate sul territorio abruzzese, ne abbiamo viste più di tremila, ma anche nel loro caso, la scintilla che ha generato la consapevolezza che fossero loro è stata nell’incontro con la loro meravigliosa personalità, ho sentito che avevano il corredo umano necessario per essere l’Arminuta e Adriana. Quando ho chiesto ad altre aspiranti Arminute di descrivermi cosa vedevano dalla finestra, tutte mi descrivevano quello che effettivamente vedevano, Sofia mi ha descritto quello che sentiva. Quanto a Carlotta, era l’unica che riusciva a parlare il dialetto abruzzese, molte bambine si vergognavano. E poi loro due si sono scelte a vicenda, le loro dinamiche fuori dal set erano esattamente quelle richieste durante le riprese.

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