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VENEZIA 2021 Settimana Internazionale della Critica

Beatrice Fiorentino • Delegata Generale, Settimana Internazionale della Critica di Venezia

“L’Europa ora partecipa alla produzione di un cinema dall’identità più fluida”

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- Con la nuova delegata generale abbiamo discusso dell’edizione 2021 della sezione parallela dei critici cinematografici della Mostra

Beatrice Fiorentino • Delegata Generale, Settimana Internazionale della Critica di Venezia

Beatrice Fiorentino fa parte del comitato di selezione della Settimana Internazionale della Critica di Venezia dal 2016 e dall’anno scorso ha sostituito alla direzione artistica Giona A. Nazzaro, nominato direttore del Locarno Film Festival. Dal 2018 è membro degli EFA European Film Academy. Con lei abbiamo discusso dell’edizione 2021 della rassegna.

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Cineuropa: Qual è la tua idea della sezione parallela di un grande festival?
Beatrice Fiorentino:
Un po’ per affinità un po’ per completare il percorso cominciato con lui, sto lavorando in continuità con l’idea di SIC di Giona A. Nazzaro, senza il minimo sforzo. Lui si era già riposizionato rispetto al passato, e io non ho sentito la necessità di spostare il mio sguardo: assieme a Giornate degli Autori e alla “main Venice” lavoriamo tutti sotto uno stesso cappello, ognuno completa l’offerta e lo spettro di possibilità della Mostra, dando un’idea più vasta possibile di quello che offre la cinematografia mondiale. La missione della SIC è scoprire nuovi talenti, aprire a nuove possibilità di cinema, con uno sguardo forse un po’ più radicale e di ricerca.

In che misura i film selezionati sono stati influenzati dalla pandemia?
Ci siamo chiesti se girare la testa dall’altra parte e passare oltre, ma la SIC ha sempre avuto la caratteristica di catturare lo spirito del tempo, non potevamo passare oltre. Sento il disagio di fronte a dei film che non mi stanno più dicendo nulla, perché effettivamente viviamo in una realtà trasformata, viviamo un momento di emergenza. Non catturare questo spaesamento rende inutile il nostro compito. Non si tratta solo di scegliere bei film. Abbiamo davvero cercato di lavorare secondo un’idea, cioè di come il nostro sguardo è cambiato con la nuova realtà e sul nuovo rapporto che può esserci tra lo spettatore e il film nell’era covid. Quindi è chiaro che non cercavamo cinema sulla pandemia, e del resto non ne sono stati proposti molti. Ma ci sono determinati temi cruciali che sono stati messi in discussione, se non stravolti in questi ultimi 18 mesi. Quei film che ci parlavano del senso profondo della vita e della morte, del contatto umano, delle distanze, ridefinivano le coordinate di spazio e tempo. Abbiamo un diverso modo di sentire, lo scorrere del tempo, il sentire i corpi. Il caso forse emblematico è il film spagnolo, Eles Transportan a Morte [+leggi anche:
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, che è un film chiaramente pensato e girato prima della pandemia, interrotto e poi ripreso. Ma quel film oggi assume significati nuovi: ambientato nel 1492 [anno della scoperta dell’America, ndr] il Vecchio Mondo che sta finendo, il Nuovo ancora da conquistare, la Storia ancora da scrivere. Le caravelle di Colombo sullo sfondo, assistiamo a due erranze, quella di un gruppo di uomini che fuggono dalla morte e quella di una donna che trasporta il corpo della sorella morta e sente l’urgenza di restituirla alla terra. Dopo le esperienze drammatiche vissute da molti di noi, non resti indifferente di fronte a quelle immagini.

Nella selezione l’Europa è molto presente, anche nelle coproduzioni. Secondo te il Vecchio Continente sta partecipando alla creazione di un mercato globale del cinema dal sentire comune, che collabora anche finanziariamente per spingere autori che possano attraversare i confini?
Questo è un’altro segnale che abbiamo voluto catturare e sottolineare. Quest’anno abbiamo visto tante coproduzioni insolite e originali che costituiscono un cinema globale, si, ma anche di identità più fluida. È interessante vederlo anche nei film italiani, che sempre più escono dai confini, parlo di Mother Lode [+leggi anche:
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, che abbiamo scelto non per la nazionalità ma come film del mondo, che si fanno portatori di una osservazione universale. Forse è tempo di superare queste etichette comode di film spagnolo o francese. L’Europa ha lanciato questo segnale, che va benissimo a patto che si rispettino identità, percorsi, storie, e la sensibilità dell’autore.

Come si sono riposizionati i festival dopo la corsa allo streaming dovuta alla pandemia?
Quella della funzione dei festival è una questione pre-pandemica. La risposta è sintetizzata nella nostra immagine ufficiale, un artwork di Emiliano Mammuccari, Mauro Uzzeo e Fabrizio Verrocchi dal titolo Embracing again, cioè tornare ad abbracciarci. Questa immagine è la concretizzazione di una mia piccola ossessione, perché mentre mi interrogavo su cosa abbiamo perso in questi mesi e come sarà il cinema, mi veniva sempre in mente l’istante catturato in una foto fatta con il telefono nel 2016 alla prima di un film alla SIC, quando i membri della delegazione di quel film si sono stretti tutti in un abbraccio. Vedere i film in streaming non è la stessa cosa, quello che si è perso nei festival non in presenza è il ritrovarsi di una comunità. I festival sono spazi privilegiati che servono ancora a favorire gli incontri, discutere lungamente dei film, conservare una memoria esperienziale. Su Zoom siamo tutti uguali.

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