email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

LOCARNO 2021 Cineasti del presente

Marí Alessandrini • Regista di Zahorí

“La steppa è molto vicina, ma è come se creasse una sorta di abisso”

di 

- La regista argentina, la quale si è formata alla HEAD di Ginevra, ci parla del suo lungometraggio d'esordio, che ha girato nella steppa argentina e che ruota attorno a una bambina straordinaria

Marí Alessandrini • Regista di Zahorí

Zahorí [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Marí Alessandrini
scheda film
]
partecipa al concorso Cineasti del presente del Locarno Film Festival dopo aver già vinto lo scorso anno il premio di produzione The Films After Tomorrow. La sua regista, Marí Alessandrini, ci parla della sua protagonista, la giovanissima Lara Viaena Tortosa, e dell'importanza di accettare il nostro lato "animale".

Cineuropa: Come è nata l'idea per il suo primo film? Da dove viene la sua voglia di raccontare la vita di chi vive ai margini della frenesia cittadina?
Marí Alessandrini:
In realtà io sono di lì, la città dove sono nata si chiama Bariloche, è esattamente il confine tra la steppa e la montagna. La differenza tra le due è molto radicale, in pochissimo tempo ci si può ritrovare nella steppa. Quando ero bambina la steppa rimaneva sempre un po' a margine, non ne sapevamo molto perché non ci sono molte strade per accedervi, tutto è un po' abbandonato dallo Stato. Ci sono stata per la prima volta con uno spettacolo di burattini, con la compagnia scolastica di cui facevo parte. Stavamo per recitare in un collegio e siccome all'epoca facevo già fotografia, ho realizzato i miei primi ritratti in bianco e nero dei bambini di questo collegio. Non ho mai dimenticato questa esperienza. Questa scuola isolata in mezzo al deserto e queste persone che vivevano in una realtà parallela a trenta chilometri da casa mia mi hanno davvero colpito! La steppa è molto vicina ma è come se creasse una specie di abisso. Allo stesso tempo si ha la sensazione di essere "fuori dal tempo" con la presenza della chiesa, delle comunità tedesche e italiane, a volte coppie formate da mapuche e italiane, risale tutto all'epoca della colonizzazione, gente insediata in mezzo al nulla per costruirvi la propria vita. L'ho trovato così cinematografico e motivante, contemporaneo e antico allo stesso tempo.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Come viene percepita la cultura indigena in Argentina?
Purtroppo è una storia piuttosto tragica. Oggi il punto di vista colonialista sui popoli nativi ha cominciato a cambiare. In alcune scuole stiamo iniziando ad imparare le lingue indigene ma è molto raro. Penso che questo cambiamento sia iniziato otto anni fa. Ora ci sono lotte, manifestazioni, assistiamo a episodi abbastanza violenti legati ai tentativi delle popolazioni indigene di recuperare le loro terre. La conquista del deserto, come viene chiamata in Argentina, è stata intrapresa con l'idea di sgomberare le terre dei popoli indigeni e invitare gli europei a venire ad abitarvi, eliminando così i popoli originari dell'Argentina. Tutto questo continua ancora oggi. È una storia che si ripete e non solo in Argentina. Ecco perché Mora ha una relazione tesa con gli altri ragazzi a scuola. Dal momento che è bianca, pensano che non abbia nulla a che fare con i gaucho che ammira.

Dove ha trovato la sua Mora e come ha lavorato con un'attrice così giovane?
Non è facile lavorare con i bambini. È vero che ho fatto molti provini, credo di aver visto una sessantina di ragazze prima di scegliere, erano solo ragazze del nord della Patagonia. Soprattutto, stavo cercando qualcuno che avesse un amore molto profondo per la natura e che fosse anche un po' indipendente, caratteristiche che sono rare in un bambino. Lara Viaena Tortosa che interpreta Mora aveva tutto questo, l'abbiamo lasciata sola e l'abbiamo trovata in cima a un albero che giocava con un piccolo insetto. Mora è esattamente quel tipo di ragazza. Lara aveva anche questo lato allo stesso tempo femminile e maschile che stavo cercando. In termini di sceneggiatura, abbiamo lavorato molto a monte, anche con Himeko e Nazareno. Sono tutti non attori. Abbiamo passato un mese a provare le scene insieme in modo da creare la relazione tra fratello e sorella. Al momento delle riprese erano sicuri di quello che avrebbero fatto e non avevano paura di sbagliare. Questo ha aiutato molto a creare un rapporto familiare.

Mora sfida i limiti sociali che le sono imposti per aderire a una certa animalità. Possiamo dire che Zahorí è un tributo alla diversità in generale e alla diversità di genere in particolare?
È esattamente quello che volevo, va molto oltre il genere, è anche il rapporto con gli animali. Va oltre le categorie dell'umano, si tratta di essere in connessione con gli esseri viventi e tutta la natura. Cercavo qualcosa di un po' "selvaggio". Mora non capisce perché ci siano tutte queste barriere, tanti giudizi e critiche che alla fine bloccano costantemente il flusso della vita. Si ritrova costantemente bloccata da questi giudizi e al di là c'è la libertà della steppa. Durante una lite con un compagno di classe dice "io sono come te". Lei infatti non vede dove sia il problema e poi ha tanta forza fisica quanto i ragazzi, tanta voglia di fare i "loro" giochi.

Come ha gestito i maestosi set esterni che caratterizzano quasi tutto il film?
Il film è stato girato per tre quarti all'aperto. E’ stato una specie di Fitzcarraldo con meno risorse. Avevamo vecchi 4x4 che a volte si rompevano in mezzo al deserto. Eravamo sempre in situazioni estreme, dormivamo nelle scuole, nelle chiese, bisognava amare l'avventura per partecipare alle riprese. Per la luce avevamo dei generatori. Eravamo una squadra piccolissima, eravamo sempre meno e abbiamo finito in cinque. Anche per questo i bambini dovevano poter “reggere la steppa”.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

(Tradotto dal francese)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Leggi anche

Privacy Policy