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GOEAST 2021

Vera Lacková • Regista di How I Became a Partisan

"Spero che il mio film ispiri gli storici a continuare a scavare in questa parte della storia"

di 

- La regista slovacca ci parla della sua volontà di resistere all'oblio e del suo desiderio di portare alla luce un lato oscuro della storia dei Rom

Vera Lacková  • Regista di How I Became a Partisan

La regista slovacca Vera Lacková ha terminato il suo lungometraggio documentario di debutto How I Became a Partisan [+leggi anche:
intervista: Vera Lacková
scheda film
]
durante la pandemia. Lacková è stata coinvolta nel progetto a carattere documentario Europe: a Homeland for Roma (2014). Nel 2015 ha fondato la società di produzione Media Voice allo scopo di combattere gli stereotipi affibbiati ai Rom e altre minoranze, oltre a cooperare con ONG in tutta Europa. How I Became a Partisan, proiettato alla 21ma edizione del goEast - Festival del cinema centro ed est-europeo, all’inizio esplora la partecipazione del suo bisnonno alla Resistenza durante la Seconda guerra mondiale, ma questo viaggio in seguito conduce alla rivelazione di fatti nascosti del passato cecoslovacco.

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Cineuropa: Nel suo lungometraggio documentario di debutto svela il destino del suo bisnonno durante la Resistenza, oltre a interpretare la protagonista del film, a cui il titolo si riferisce. Perché ha deciso di porsi di fronte alla telecamera?
Vera Lacková: Mia nonna mi raccontava del mio bisnonno, che era un partigiano rom. Perse tutti i membri della sua famiglia durante la Seconda guerra mondiale perché si era unito alla Resistenza. La sua vita mi toccava molto. Quando sono diventata regista e produttrice di film ho deciso di trattare il tema più da vicino, e ho scoperto che il mio bisnonno non era l’unico partigiano rom al tempo. Sapevamo che i rom fossero delle vittime. C’è stato un olocausto rom di cui sappiamo nonostante non si insegni a scuola, ma il fatto che abbiano fatto parte della Resistenza è completamente taciuto.

Ho promesso a mia nonna di salvare i rom da un oblio che sarebbe stato un secondo annientamento. Per questo ho assunto il ruolo metaforico di partigiana dei tempi moderni che combatte contro l’oblio. Il comunismo ha contribuito al fatto che i partigiani e gli eroi rom della Resistenza non siano stati riconosciuti. I comunisti volevano assimilarli e prevenirne l’emancipazione, ed è per tale ragione che queste storie su di loro sono rimaste ignote. 

Anche gli storici hanno documentato solo la nazionalità dei partigiani, e non la loro etnia. E questa situazione non riguarda solo la storia slovacca, ci sono casi simili anche in Repubblica Ceca, Ungheria, Romania e Italia. Spero che il mio film ispiri gli storici a continuare a scavare in questo lembo di storia, così che un giorno possa entrare nei manuali. Per questo mi auguro che venga proiettato nelle scuole e all’interno delle comunità rom, perché voglio educare il pubblico su questo tema importante. 

Oltre alla ricerca storica e alla connessione dei punti del passato, nel film c’è anche una trama contemporanea. Perché ha deciso di congiungere passato e presente?
Anche se si tratta di un evento storico, è comunque un tema attuale. L’Europa si sta radicalizzando e le inclinazioni di politici e gente comune per i ragionamenti estremisti sono una realtà quotidiana. Perciò il mio film non si concentra solo sulla storia, ma si occupa anche della ricerca di identità nella mia famiglia.

Il suo documentario traccia le atrocità del passato nel dettaglio, tuttavia la trama ambientata nel presente ha un tono più leggero, addirittura divertente, con sua zia che fa battute di tanto in tanto.
Beh, è un film documentario, e in quello spirito ho documentato tutto quello che succedeva. E ciò che ho osservato nella mia famiglia e in altre è il fatto che si vada alla ricerca di un’identità rom. Purtroppo, la rappresentazione mediatica dei rom non è molto lusinghiera, e alcuni di loro hanno addirittura vergogna della loro identità. È il caso di mia zia, che ha difficoltà con la sua identità rom. Ma bisogna prenderla con le pinze, perché lei è spesso autoironica e sarcastica. 

Com’è cambiata la sceneggiatura durante il progetto?
La riscrivevo di continuo, specialmente quando scoprivo nuovi partigiani rom e i loro discendenti, o nuovi documenti. Non avevo affatto programmato di girare con mia nonna, è successo solo dopo che ho incontrato Jan Gogola, che mi ha portata a farlo. È stata molto dura per me al tempo, perché mia nonna era malata terminale e sapevamo che l’avremmo persa presto. Da allora è diventato materiale molto prezioso per me, anche se non l’ho usato tutto nella versione finale del film. Lo stesso si può dire di mia zia, che originariamente non doveva essere un personaggio del film. Tuttavia, quando ho visto il modo in cui interagiva con la telecamera, è diventata parte del progetto. Grazie al suo coinvolgimento ho girato non solo dei momenti divertenti, ma sono anche stata in grado di scoprire molto sulla mia famiglia e mia zia. Non sapevo che il padre del compagno di mia zia fosse stato un ufficiale nazista.

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(Tradotto dall'inglese da Milena Tavano)

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