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BERLINALE 2021 Encounters

Jacqueline Lentzou • Regista di Moon, 66 Questions

"Questo è un film dal cuore, con il cuore"

di 

- BERLINALE 2021: Abbiamo parlato con la regista greca del suo approccio audace al suo primo lungometraggio, proiettato in Encounters

Jacqueline Lentzou  • Regista di Moon, 66 Questions

Il primo lungometraggio della sceneggiatrice e regista Jacqueline Lentzou, Moon, 66 Questions [+leggi anche:
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intervista: Jacqueline Lentzou
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, in mostra nella sezione Encounters del Berlinale, racconta la storia di una relazione tra padre e figlia in un modo unico. In questa conversazione cerchiamo di scoprire l’approccio audace della cineasta.

Cineuropa: Perché hai deciso di raccontare questa storia? L’hai sviluppata insieme a Sofia Kokkali? Il titolo “Un film di Jacqueline Lentzou con Sofia Kokkali” sembra indicarlo.
Jacqueline Lentzou:
Volevo fare un film che trattasse di amore non dichiarato e delle sue conseguenze. Ho aggiunto il nome di Sofia nel titolo principale per onorarla e mostrarle gratitudine e amore. Nessun’altra ragazza sarebbe riuscita a interpretare il personaggio di Artemis, e la sua complessità si intreccia con quella di Sofia stessa. Non abbiamo sviluppato la storia insieme, ma l’ho sviluppata con lei in mente, quindi è un film fatto da me con Sofia. 

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La luna e i tarocchi creano una dimensione intrigante per il film. Perché hai sentito il bisogno d’inserire questi elementi?
Sia la luna che i tarocchi rappresentano metodi di previsione, e riferiscono a una delle forze principali che hanno fatto sì che Artemis si trovasse nella posizione in cui si trova: lei vuole sapere. Inizialmente, non conosce cosa esattamente deve sapere, ma gradualmente, la domanda si fa sempre di più specifica, fino a che diventa, “Perché?” Vuole sapere perché un uomo che sciava nei posti più pericolosi adesso non riesce ad alzarsi dal letto senza assistenza. Perché per le persone smettono di esistere nel modo in cui lo facevano prima? Conosciamo i sintomi, ma non cosa ci ha portato a essi. Conosciamo le conseguenze di una malattia, ma non sappiamo perché l’abbiamo presa.

Un vero atto d’amore è quello di dedicare tempo ed energia per capire il perché. Questo è fondamentale nel mio sistema di valori. Una grossa porzione di agitazione e ansia sparisce magicamente e viene sostituita da un senso di calma quando si capisce il perché. Le persone cercano risposte in luoghi terreni e ultraterreni. Più vogliono sapere e più “assurdi” il loro metodi diventano. Nel film, Artemis è un personaggio che, con discrezione, sembra cercare risposte altrove, o meglio, il film stesso costruisce un ambiente pieno di segnali e lascia che Artemis li decodifichi.

Il modo in cui utilizzi varie tecniche fanno sì che lo spettatore si avvicini a Artemis e Paris, e simultaneamente si allontani dal film come forma. Come sei arrivata a questo approccio, e qual’era il tuo obiettivo?
Il film tratta, insieme ad altre cose, dell’idea di una separazione e, allo stesso tempo, dell’idea di unità. “Interiore” non può esistere senza “esteriore”, e “tutto” non può esistere senza “niente”. Questo modo in cui scrivo adesso – a coppie – mi ha permesso di capire che la parola più importante per me a riguardo del film era “dualità”.

Oltre ai temi che vengono a coppie (salute/malattia, verità/illusione), sapevo che quella dualità doveva essere presente nella vera forma del film. È qui che le due strutture nascono, le quali fanno risuonare i vari aspetti nel tempo, insieme a ogni associazione che ci può essere. Volevo fare un film che rompesse – come film, come struttura – e allo stesso tempo connettesse i due protagonisti attraverso effetti visivi.

Sono profondamente interessata all’idea della forma. È stato impegnativo per me personalmente in vari momenti della mia vita. Mi chiedevo dopo averlo visto, “Che cos'è questo? È un film? Una installazione? Un documentario?” E più era difficile rispondere, più il film migliorava. Alla fine, è un film-collage, sia per i momenti che per la texture.

Come hai lavorato sui personaggi insieme a Kokkali e Lazaros Georgakopoulos?
Abbiamo usato A Lover’s Discourse di Roland Barthes per il background psicologico del personaggio di Georgakopoulos, e con Sofia, è stato grazie a molte lettere, passeggiate, bevute e conversazioni. Semplici cose umane. È un film che viene dal cuore, con il cuore. Non ho avuto altra scelta che lavorare in un modo che non mi ricordasse il “lavoro”, ma la vita.

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(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)

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