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Polonia

Maciej Barczewski • Regista di The Champion

"Per i suoi compagni di reclusione, era un simbolo di speranza per la vittoria sul terrore nazista"

di 

- Cineuropa ha parlato con Maciej Barczewski, il cui primo film The Champion è stato presentato nella competizione principale del Polish Film Festival di Gdynia

Maciej Barczewski  • Regista di The Champion
(© Robert Pałka)

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, il primo lungometraggio del regista polacco Maciej Barczewski, è basato sul personaggio reale Tadeusz "Teddy" Pietrzykowski, un pugile dei pesi gallo, che ha combattuto i suoi match più importanti nei campi di concentramento.

Cineuropa: Ci sono molti film che ritraggono l'Olocausto. Non temeva che non ci fosse nulla di artisticamente nuovo da aggiungere all'argomento?
Maciej Barczewski:
Sapevo di trattare temi che sono comunemente associati a Schindler's List di Steven Spielberg, Il pianista di Roman Polański o Il figlio di Saul [+leggi anche:
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di Laszlo Nemes. Allo stesso tempo, sapevo che non avrei dovuto seguire la strada o lo stile di altri film sull'Olocausto, ma cercare di raccontare questa storia a modo mio, attraverso i miei occhi, in un modo accessibile al pubblico contemporaneo. Ho sentito di poter aggiungere qualcosa a quel canone. In particolare, mi ha affascinato il contrasto tra il campo come fabbrica di morte e il luogo dove si praticava lo sport come espressione di vita e speranza di vittoria.

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Come ha saputo di Tadeusz "Teddy" Pietrzykowski? Era famoso nella Varsavia degli anni '30, ma dopo la Seconda guerra mondiale è scomparso dall'opinione pubblica, per così dire.
Tadeusz Borowski, lo scrittore polacco sulla base delle cui storie Andrzej Wajda ha realizzato Paesaggio dopo la battaglia, ha scritto in uno dei suoi romanzi: "C'è ancora il ricordo del numero 77, che era solito prendere a pugni i tedeschi come voleva, vendicandosi sul ring per quello che gli altri ricevevano nel campo". Questa frase mi ha incuriosito così tanto che ho iniziato a indagare sul destino dei prigionieri del primo trasferimento al campo di Auschwitz, e in particolare del numero 77 - Tadeusz "Teddy" Pietrzykowski. Sono rimasto affascinato dal fatto che, per i suoi compagni di reclusione, fosse un simbolo di speranza per la vittoria sul terrore nazista. Allo stesso tempo, è emerso che oggi è un uomo relativamente sconosciuto, anche se a causa del luogo e delle circostanze in cui dovette combattere i suoi match, i suoi combattimenti hanno assunto un carattere quasi mitico. Per i suoi contemporanei, era quello che alcuni oggi chiamerebbero un supereroe.

Qual è stato il processo di ricerca che ha citato? Presumo che non ci fossero molte informazioni o materiale visivo su quei primi giorni al campo di sterminio.
Sono rimaste solo poche fotografie del primo trasferimento ad Auschwitz e solo una di esse mostra l'arrivo dei prigionieri al campo. Raccogliendo informazioni, ho contattato le fonti: dichiarazioni di ex prigionieri raccolte negli archivi del Museo di Auschwitz, oltre ad alcuni appunti e ricordi personali di Tadeusz Pietrzykowski messi a disposizione da sua figlia. Ci ha supportati con racconti su suo padre, che ci hanno permesso di ritrarre meglio la sua personalità sullo schermo.

Il suo attore protagonista è Piotr Głowacki. È molto talentuoso e versatile, ma i registi di solito lo scelgono per le commedie. Perché l'ha scelto per il suo film?
La forza di Teddy Pietrzykowski non stava nei suoi muscoli, ma nella sua tecnica magistrale e nella sua forza d'animo. Sapevo che per costruire un personaggio convincente avevo bisogno di un attore che, a prima vista, fosse l'opposto dell'archetipo del pugile. Qualcuno di poco appariscente, persino innocuo, ma nei cui occhi puoi vedere due pugni chiusi. Allo stesso tempo, doveva essere un attore che, per il ruolo di un prigioniero di Auschwitz, fosse disposto a subire una trasformazione fisica radicale, e anche a padroneggiare la tecnica della boxe quel tanto che gli consentisse di combattere senza tagli e senza l’intervento di una controfigura. Piotr è stato la mia prima e unica scelta, e ha più che soddisfatto queste aspettative. Sono convinto che, per molti anni, non ci sia stato un ruolo nel cinema polacco che richiedesse un impegno fisico e artistico di così vasta portata da parte di un attore.

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