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POPOLI 2020

Alessandro Stellino • Direttore artistico, Festival dei Popoli

“Il documentario non è un genere ma un approccio, un fare cinema al tempo presente”

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- Abbiamo parlato con il nuovo direttore artistico del Festival dei Popoli di Firenze, Alessandro Stellino, della prossima edizione che si terrà interamente online dal 15 al 22 novembre

Alessandro Stellino  • Direttore artistico, Festival dei Popoli

In tempi di pandemia da coronavirus, anche il Festival dei Popoli di Firenze cambia veste e approda online per la sua 61ma edizione che si svolgerà dal 15 al 22 novembre. Ne abbiamo parlato con il suo nuovo direttore artistico, Alessandro Stellino.

Cineuropa: Questa è la sua prima edizione come direttore del Festival dei Popoli: un anno a dir poco particolare per cominciare una nuova avventura, con una pandemia in corso, i cinema che aprono e chiudono... Qual è stata la sfida più grande?
Alessandro Stellino: In origine la sfida era quella di fare la migliore edizione possibile: il Festival dei Popoli è il più antico d’Europa in ambito documentario e, insieme agli altri membri del comitato di selezione e a Claudia Maci che ne è la direttrice organizzativa, abbiamo lavorato fin dai primi mesi di quest’anno per elaborare un programma capace di restituire al meglio la varietà di sguardi e linguaggi che caratterizza il “cinema del reale”. Poi la pandemia ha trasformato questa sfida in un’odissea, più sul fronte pratico, devo dire, che su quello della programmazione, perché la nuova chiusura delle sale a un mese dall’inizio del festival ci ha costretto a un enorme lavoro extra in tempi strettissimi.

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Come sarà l’edizione 2020 del Festival dei Popoli? Cosa pensa dei festival online?
Credo che i festival abbiano un ruolo fondamentale nel creare comunità e dialogo intorno al cinema. In una fase come questa è inevitabile appoggiarsi alle piattaforme di streaming ma fuori dalla sala il film perde la sua centralità, così come la connotazione di evento con una sua precisa dimensione di immediatezza, e il festival diventa qualcos’altro: un evento espanso che, a pensare in positivo, spalanca il proprio bacino di pubblico potenziale. Abbiamo organizzato Q&A con tutti i registi ospiti, e altri momenti di incontro, ma l’elettricità della proiezione in sala e la vita che si dipana dentro e fuori di essa durante un festival non è sostituibile.

Riguardo alla selezione: cosa l’ha guidata nelle scelte? La pandemia ha influito in qualche modo sulla scelta dei film?
La pandemia ha influito nella grande quantità di film realizzati sul tema, spesso e volentieri improvvisati e molto superficiali, perché mi sembra che in pochi abbiano avuto la capacità di ragionare a fondo su quello che è accaduto o sta accadendo. A parte questo, va rilevato un forte rallentamento nella restituzione delle opere: chi non aveva completato il film in primavera ha subito lunghi ritardi nella lavorazione e anche chi era in fase di montaggio ha fatto fatica a stare nei tempi previsti. Ci sono poi film che pur essendo pronti in autunno hanno preferito aspettare il 2021 nella speranza di un miglioramento complessivo della situazione. Da parte nostra abbiamo cercato di comporre il programma nella maniera più aperta possibile: la mia formazione è legata al cinema di genere e coltivo una forte passione tanto per il cinema classico che per quello sperimentale. Credo che il documentario vada considerato all’interno di un universo cinematografico a 360°, privo di confini e barriere di linguaggio. Per me non è un genere ma un approccio, un fare cinema al tempo presente.

Le novità di quest’anno: la sezione dedicata ai più giovani (Popoli for Kids & Teens) e Doc at Work - Future Campus per la formazione di giovani talenti. Come nascono queste iniziative?
Per prima cosa abbiamo potenziato Doc Explorer, la sezione non competitiva dedicata alla sperimentazione e all’ibridazione dei linguaggi, con opere originali e coraggiose di cineasti come Ben Rivers, Mike Hoolbloom, Sofia Bohdanovicz e altri meno noti. Credo molto nell’integrazione dei pubblici e nel coinvolgimento delle scuole, in particolare quello dei più giovani, ed è anche per questo che il Doc at Work - Future Campus propone i migliori film provenienti dalle scuole di cinema da tutta Europa.

La musica è molto presente grazie alla sezione Let the Music Play e all’apertura con Patti in Florence. Come mai questa scelta? 
Sono un grande appassionato di musica ma il sottogenere dei biopic musicali documentari è estremamente standardizzato, quindi abbiamo scelto un gruppo ristretto di film capace di scardinarne la codificazione. Il film sul rapporto tra Patti Smith e la città di Firenze, a partire dal suo storico concerto del 1979, ci è sembrato ideale per celebrare l’apertura di questa edizione all’insegna del rock e dell’impegno civile.

Alcune sezioni del festival saranno rilanciate quando riapriranno le sale. Quali progetti avete in tal senso?
Abbiamo oltre cento film in programma e in questa prima fase online ne proponiamo solo la metà. I film di Doc at Work - Future Campus andranno in streaming la settimana dopo il festival, ad esempio, mentre la retrospettiva dedicata a Tizza Covi e Rainer Frimmel così come il focus su Radu Jude fanno parte del progetto “Popoli Reloaded” e verranno recuperati in sala in presenza dei registi nei primi mesi del 2021.

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