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SITGES 2020

Kike Maíllo • Regista di Cosmética del enemigo

"Abbiamo realizzato un adattamento molto libero del romanzo"

di 

- Kike Maíllo ci parla di Cosmética del enemigo, la sua versione particolare del famoso libro della belga Amélie Nothomb, con Tomasz Kot, Marta Nieto e Athena Strates nei ruoli principali

Kike Maíllo • Regista di Cosmética del enemigo

Abbiamo parlato con Kike Maíllo (Barcellona, ​​1975) durante una pausa dalle riprese della serie Alma, scritta da Sergio G. Sánchez (Lo imposible [+leggi anche:
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), che viene girata in esterni asturiani aspri, dove non c'è quasi copertura telefonica. La nostra conversazione però ruota attorno al suo ultimo film, Cosmética del enemigo [+leggi anche:
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(Francia/Spagna/Germania), basato sul romanzo bestseller di Amélie Nothomb, con Tomasz Kot, Marta Nieto e la sudafricana Athena Strates, attualmente presentato in anteprima in concorso nella sezione ufficiale del 53° Festival di Sitges.

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Cineuropa: Che cosa l’ha attratta del romanzo tanto da convincerla a lanciarsi nell’impresa di adattarlo al cinema?
Kike Maíllo
: A Toni Carrizosa, produttore e mio socio in una piccola casa di produzione (Sábado Películas), piaceva tanto l'idea della dialettica tra due personaggi posizionati in modo molto chiaro, uno dalla parte del politicamente corretto mentre l'altro è un sociopatico. Si instaura tra loro un dialogo che ci è sembrato geniale e che ci ha convinti a interessarci ai diritti del romanzo e a finire per comprarli e realizzare l'adattamento, che è libero nel senso che lavoriamo sull'idea di un uomo e una donna, mentre nel romanzo sono due uomini. E, allo stesso modo, lo rendiamo più vivo, giacché nel romanzo c’è uno spazio unico e un dialogo unico, mentre noi abbiamo approfondito il lato cinematografico che vedevamo nella storia.

A parte il cambio di genere di un personaggio e il resto che ha sottolineato... Cambia anche la trama?
C'è qualcos'altro, sì... Ci sono argomenti che mi interessavano, come il senso di colpa, i fantasmi del passato, quello che cerchiamo di nascondere agli occhi degli altri e che in qualche modo finisce per emergere.

Perché possiamo anche prendere mille aerei, ma portiamo sempre i nostri traumi come bagaglio...
Sì, la testa e il carattere sono sempre con noi: non possiamo scappare da questo, nel bene e nel male.

Essendo il romanzo originale scritto in francese, suppongo che sarebbe stato facile per la Francia entrare come coproduttore. Come è nata invece la collaborazione tedesca?
Pensando al film, dal primo momento abbiamo voluto realizzarlo in inglese, per diversi motivi: innanzitutto, perché la sensazione di non luogo, di viaggiatori che si incontrano, diventava più internazionale e più chiara se lo facevamo in inglese. Cercavamo compagni di viaggio e il territorio francese era il più facile perché il romanzo è scritto in quella lingua nonostante la sua autrice sia belga, ma è un prodotto interamente francese. Quindi, in seguito abbiamo testato diversi paesi: Olanda, Belgio, Germania... e infine quello che ci ha aiutato di più è stato l'Assia, lo stato in cui si trova Francoforte, dove la gente si è gettata nel film.

Che tipo di rottura rappresenta questo film rispetto ai suoi lavori precedenti Eva [+leggi anche:
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e Toro [+leggi anche:
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? O lo sente come un'evoluzione della sua carriera di regista?
Non lo percepisco come una rottura, davvero. Nei miei cortometraggi e lungometraggi precedenti l'idea di mistero, di minaccia, è sempre stata molto presente, e sebbene un thriller come questo non abbia l'azione di Toro, perché è più tranquillo, la mia intenzione era girare un film di personaggi, più concentrato sull’interpretazione. L’evoluzione sta quindi nel rendere il film più rilassato e lavorare di più con i personaggi.

In Toro gli spazi della Costa del Sol erano fondamentali; in Cosmética del enemigo un aeroporto acquisisce un’importanza primordiale. In che maniera l’architettura condiziona la storia, la psicologia dei personaggi e l’atmosfera del film?
Ho un interesse speciale per la messa in scena e l'architettura, e per il modo in cui i luoghi influenzano i personaggi che ci vivono nei film e nei racconti. In Eva c'era una casa stile western, un uomo solo e un laboratorio. In Toro c'è quello sfruttamento architettonico degli anni Sessanta-Settanta. E ora il protagonista è un architetto che lavora sull'idea della perfezione dello spazio e sulla ricerca di linee più pure: parla di come in qualche modo cerchiamo di mostrare il nostro volto migliore, il nostro edificio migliore, soprattutto ora che abbiamo tutti i social network e siamo sovraesposti, mostrando continuamente la nostra vita domestica. Mi interessa anche l'idea del non luogo, come un aeroporto, privo di personalità: c'è funzionalità e bellezza, perché a tante persone deve piacere. Così, partendo dalla messa in scena, volevo parlare del politicamente corretto.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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