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VENEZIA 2020 Orizzonti

Kaouther Ben Hania • Regista di L'uomo che vendette la sua pelle

"Che cosa significa essere liberi?"

di 

- VENEZIA 2020: La regista tunisina Kaouther Ben Hania parla del suo sorprendente L'uomo che vendette la sua pelle, una produzione europea svelata nella sezione Orizzonti

Kaouther Ben Hania • Regista di L'uomo che vendette la sua pelle
(© La Biennale di Venezia / ASAC / Giorgio Zucchiatti)

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è il quarto lungometraggio di Kaouther Ben Hania dopo Le Challat de Tunis [+leggi anche:
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(ACID - Cannes 2015), Zaineb Hates the Snow [+leggi anche:
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(fuori concorso - Locarno 2016) e La bella e le bestie [+leggi anche:
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(Un Certain Regard  - Cannes 2017). Interpretato da Yahya Mahayni, Monica Bellucci, Dea Liane e Koen de Bouw, il film è stato svelato alla 77ma Mostra di Venezia, nella sezione Orizzonti.

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Cineuropa: Come è nata l'idea per il film, che si è ispirato all'opera d'arte vivente Tim Steiner, l’uomo tatuato?
Kaouther Ben Hania:
Nasce da diversi temi su cui mi interrogo e che mi affascinano. La prima idea mi è venuta quando ho scoperto il lavoro di Wim Delvoye. Ma mi sono presa delle libertà rispetto alla mia ispirazione iniziale perché volevo dare una forma umana a questo personaggio tatuato, dargli un'identità, usarlo come punto di partenza per fornire una dimensione politica. Allo stesso tempo, ero molto interessata al destino dei rifugiati, in particolare dei siriani, quindi gli ho dato questa identità. Ho cercato di immaginare il suo viaggio interiore, il perché lo avrebbe fatto e come avrebbe reagito al suo nuovo status di opera d'arte.

In questi due mondi, quello dell'arte contemporanea che è il lusso assoluto, e quello dei rifugiati che è pura sopravvivenza, risuona la stessa questione della libertà.
Questa nozione di libertà è il tema del film. Sono due mondi completamente opposti su questo piano. Quello che volevo esplorare era: che cosa significa essere libero? Il contesto geopolitico e sociopolitico definisce già la nostra libertà di movimento e persino la nostra libertà di fare ciò che vogliamo.

Quel tatuaggio del visto Schengen sulla schiena di Sam è un patto faustiano?
Il personaggio di Jeffrey parla in effetti di Mefistofele. Non chiede a Sam la sua anima, ma la sua schiena. Poi, in modo sarcastico, anche un po' cinico, precisa che trasformando Sam in una merce, lo farà vivere più liberamente. Perché viviamo in un mondo in cui le merci si muovono molto più velocemente di alcuni esseri umani. In questo modo, Jeffrey lancia una provocazione agli attori del mercato dell'arte. Sam sa di aver ottenuto la sua libertà di circolare, i documenti giusti, un visto, qualunque cosa serva, ma sa anche di aver perso qualcosa. Paga un prezzo: il prezzo di diventare un oggetto, di essere venduto, esposto, di diventare un valore di mercato. Ciò solleva la questione del patto: che cosa perdiamo in cambio di questa libertà offerta dall'alto? L'intera ricerca di Sam consisterà nel trovare la vera libertà.

E’ anche l'amore che guida le decisioni di Sam.
Vuole ritrovare la ragazza che ama sapendo che è estremamente complicato perché è sposata. È il suo motore interiore e all'inizio del film va persino in prigione perché ha fatto una dichiarazione d'amore parlando di libertà e rivoluzione in una dittatura. Questo riassume al contempo la sua passione, il suo desiderio, e ciò che deve pagare per raggiungere il suo obiettivo. L'intero film è un riflesso di questo. Quando decide di uscire dalla sua inerzia a Beirut per andare a cercarla e accettare per questo di farsi tatuare la schiena, è un tipo di libertà piuttosto grezza quella che ottiene, perché non è qualcuno che calcola o fa strategie; è spontaneo e impulsivo. Rischia quindi di pagare un prezzo perché al giorno d'oggi devi essere uno stratega e un calcolatore. Tutte le decisioni di Sam all'inizio del film sono legate a un impulso emotivo per nulla razionale, ma a poco a poco imparerà a diventare uno stratega per uscire da questa trappola.

Quanto conosceva i codici del mondo dell'arte contemporanea?
Al di là del classico lavoro di ricerca del vedere le mostre, seguire le notizie, partecipare alle aste, capire il mercato e i suoi attori, trovavo che l'idea di presentare qualcuno che non sapesse nulla di quel mondo, come il mio personaggio principale, qualcuno con uno sguardo ingenuo da outsider, ci avrebbe dato una visione completamente diversa di questo mondo. Un punto di vista non istruito su un mondo dell'arte contemporanea che può sembrare iper elitario, persino sacro. Perché l'arte in generale è un po' l'erede della religione. Come dice a un certo punto Jeffrey, "la gente cerca un significato, e io vendo significato".

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(Tradotto dal francese)

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