email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

GÖTEBORG 2020

Alexandra-Therese Keining • Regista di The Average Color of the Universe

"I miei film sembrano diventare sempre più silenziosi"

di 

- Abbiamo incontrato la regista svedese Alexandra-Therese Keining per parlare del suo piccolo film su grandi progetti The Average Color of the Universe

Alexandra-Therese Keining  • Regista di The Average Color of the Universe
(© Karolina Pajak)

Abbiamo parlato con la regista svedese Alexandra-Therese Keining per comprendere come abbia fatto a produrre piccoli film su grandi progetti e per discutere della sottile linea tra la perdita e la risata, entrambe trattate da The Average Color of the Universe [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Alexandra-Therese Keining
scheda film
]
mostrato al Göteborg Film Festival.

Cineuropa: The Average Color of the Universe è abbastanza diverso da Girls Lost [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
, il suo film precedente. Come è passata dall’uno all’altro?
Alexandra-Therese Keining: Dopo Girls Lost, ho sentito la necessità di fare qualcosa di più piccolo, breve e sperimentale. Circa due anni fa, lessi di un esperimento scientifico per calcolare il colore medio dell’universo. Da sempre il colore mi ha affascinato –mia madre era una pittrice ­– allo stesso modo in cui alcuni possono essere affascinati dalla musica, per esempio. Sono rimasta colpita dalla vastità di ciò: tutta questa immensità allo stesso tempo. Io mi trovo qua, piccolissima, in questo grande ordine delle cose. Da questo è derivata l’idea che poi ha preso forma.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

È un film che tratta un dolore personale, riservato, ma viene narrato con grande integrità. È stato difficile per lei da realizzare, nonché da proporre?
I miei film sembrano diventare sempre più silenziosi. La sceneggiatura può sembrare anche prolissa, ma al momento del montaggio, elimino molti dialoghi affinché le immagini possano parlare da sole. È un processo che mi appassiona molto, nonché una bella sfida. Presentare questo film all’Istituto Cinematografico per richiedere finanziamenti invece, è stato un po’ meno piacevole. Non è andata molto bene. Il commissario non ha condiviso la mia idea riguardo al tema del dolore e non ha neanche trovato il personaggio principale molto piacevole. Il film è stato prodotto autonomamente, l’ho girato in tre giorni con un team ristretto: un cameraman, un tecnico del suono e gli attori, tra cui il mio bambino. Nessuno è stato pagato, ognuno l’ha fatto per il bene del progetto. Siamo stati finanziati in seguito, non abbiamo potuto contare su nulla anticipatamente.

Jennie Silfverhjelm, l’attrice protagonista, porta un bel peso. Quale è stata la sua esperienza durante le riprese?
Mi ha detto che non si è mai sentita così tanto esausta prima, e che la notte si spegneva come una lampadina e dormiva come una bambina. Durante le riprese, quindi, era carichissima. “Facciamo un’altra scena, non preoccupatevi. Bene, qual è la prossima?” e così via. Da subito è rimasta entusiasta del copione che le ho inviato, che era più una manifestazione di uno stato d’animo piuttosto che un copione solito. Sebbene possa sembrare assurdo, le riprese sono state – al contrario del tema – molto allegre. Abbiamo riso molto e abbiamo passato delle serate insieme, in completa felicità. Probabilmente perché il dolore è molto vicino alle risate, poiché c’è bisogno delle risate per superarlo. O, nel caso di Jennie, per resistere al continuo rigirarsi nel letto piangendo e urlando, o camminare per casa in solitudine senza nessuno con cui interagire.

C’è un denominatore comune nel suo lavoro finora?
Probabilmente il fatto che sono spinta da un forte desiderio… dopo Girls Lost, un agente americano mi ha fatto delle proposte, molte delle quali ho reputato spazzatura. Se devo lavorare per tre anni su qualcosa, devo per forza esser guidata dal desiderio. Se non fosse così, non continuerei con questo percorso. Per quanto riguarda i temi ricorrenti, do spesso un tono malinconico ai miei film. Sono da poco diventata madre, e questo mi ha riportato una chiara visione della mia infanzia e del mio passato – ho perso entrambi i miei genitori quando ero piccola – e mi sentivo di stare in un posto bello e sicuro per elaborare il mio percorso. Il dolore, per come lo vedo io, non è solo oscurità, c’è anche qualcosa di positivo, parte della personalità di ognuno.

Sappiamo che sta lavorando su un nuovo progetto, il primo in inglese. Può anticiparci qualcosa a riguardo?
Si chiama Paramour, in collaborazione con la Sony Pictures. Uno dei protagonisti sarà Kristin Scott-Thomas, nei panni di Susanne Klatten, l’ereditiera della BMW, e racconterà la sua relazione con un donnaiolo svizzero che ha tentato di truffarla. Ci sto lavorando da un po’ ormai, ma appena sarà tutto pronto, sarò impaziente di iniziare. Non vedo l’ora di lavorare in inglese e con Kristin, che è semplicemente straordinaria.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

(Tradotto dall'inglese da Chiara Morettini)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Leggi anche

Privacy Policy