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TORONTO 2019 Discovery

Jorunn Myklebust Syversen • Regista di Disco

“Sono una semplice testimone. Il mio film è una constatazione, più che una denuncia”

di 

- La regista norvegese Jorunn Myklebust Syversen analizza per noi il suo secondo lungometraggio, Disco, presente al Festival di Toronto nella sezione Discovery

Jorunn Myklebust Syversen • Regista di Disco

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, il secondo lungometraggio della regista norvegese Jorunn Myklebust Syversen presente al Festival di Toronto nella sezione Discovery, è stato invitato a partecipare anche al prossimo Festival di San Sebastian nella sezione Nuovi Registi. Prodotto e distribuito da Maria Ekerhovd per Mer Film, il film è uscito in Norvegia il 4 ottobre.

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Cineuropa: Chi è Mirjam, la protagonista del film di cui è anche sceneggiatrice?
Jorunn Myklebust Syversen:
Ballerina provetta di musica disco, Mirjam è l’orgoglio della comunità religiosa di cui fa parte. Finché non le si presentano un infortunio imprevisto, un insuccesso e un segreto di famiglia che la lasciano in preda all’inquietudine e ai dubbi, nonostante il sostegno dimostratole dalla famiglia.

Perché ha scelto questa vicenda?
Ho sempre trovato interessanti gli ambienti chiusi su se stessi, all’interno dei quali le relazioni umane sono squilibrate. Cerco di capire quali sono i meccanismi all’origine di queste dinamiche. Credo che negli ambienti in cui si esprimono importanti rapporti di forza il desiderio di dominazione e di manipolazione si acuisce quanto più si fa sentire il bisogno di trovare un senso all’esistenza: sforzandosi di condividere prima e di imporre poi le proprie convinzioni, si ha l’impressione di vivere intensamente. A quel punto è facile scivolare verso l’abuso di potere, specialmente se la comunità è docile e facilmente manipolabile.

Come mai si è concentrata sulle comunità religiose?
Mi incuriosiscono, e talvolta mi affascinano, alcuni giovani pastori, tanto per il loro gergo quanto per la loro gestualità: sono dei veri e propri acrobati! Ho fatto ricerche e assistito alle riunioni di numerose congregazioni, e sono giunta a constatare che, nonostante le variazioni nei contenuti, il metodo è quasi sempre lo stesso: quello di una campagna pubblicitaria con l’intento di promuovere un dato prodotto. Nella fattispecie, si tratta di trasmettere, per non dire vendere, un certo messaggio spirituale. È sorprendente vedere i fedeli pronti a offrire denaro in cambio di favori divini. Di solito questi officianti sono molto abili nello scegliere il proprio pubblico, specialmente tra i giovani, così sensibili a questa patina affascinante. Rivendicano la libertà di pensiero e la modernità, ma di fatto le idee e le opinioni che esprimono sono profondamente conservatrici.

Il suo film vede letteralmente la vita “in rosa”.
Il rosa è tradizionalmente il colore associato alla femminilità, ma anche alle smancerie, a tutto ciò che è superficiale e coperto di fronzoli e paillettes. È il simbolo dell’estetica disco, della vita facile e di un mondo moderno estremamente sessualizzato, tutto il contrario rispetto alla porta stretta di cui si parla nel film. Sono stata ispirata da una serie televisiva animata intrisa di rosa, Jem. E ho discusso a lungo la tonalità di colori del film insieme al direttore della fotografia, Marius Matzow Gulbrandsen.

Resta comunque un film abbastanza cupo.
I miei film sono accomunati dal tema di una situazione che peggiora in una spirale discendente alla quale i personaggi non possono sfuggire, soprattutto quando sono vulnerabili. Ho voluto mostrare quanto sia facile perdere se stessi e la propria identità, all’interno di una relazione distruttrice. Mirjam, come Anders nel mio film precedente, The Tree Feller [+leggi anche:
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intervista: Jorunn Myklebust Syversen
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, si trova in un punto cruciale della sua vita, in un momento di crisi di cui le persone che la circondano non hanno consapevolezza. Nessuno la aiuta, e anche quando qualcuno ci prova i risultati non sono molto positivi. Eppure, in queste comunità non mancano le persone comprensive o premurose…

Che soluzione propone?
Nessuna. Sono una semplice testimone. Osservo, mostro. Il mio film è una constatazione, più che una denuncia.

Una conclusione sconcertante, che mette in luce ambiguità e contraddizioni.
Bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la realtà, tenendo gli occhi bene aperti. Distogliere lo sguardo non è mai la soluzione. È possibile che Disco sollevi un dibattito. Ed è un bene. Mi farebbe molto piacere se diventassimo tutti più attenti e più sensibili nei confronti della sofferenza umana.

Perché non ha scelto di realizzare un documentario?
Credo che il mio film sia permeato di una carica emotiva che non sempre i documentari sono in grado di esprimere. Inoltre, nella narrazione di fantasia mi risulta più facile mettere in evidenza la complessità delle relazioni umane, lasciando che si sviluppino i miei tratti simbolici.

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(Tradotto dal francese da Michela Roasio)

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