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Koldo Serra • Regista di 70 binladens

"Volevo portare il thriller degli anni Settanta in territorio spagnolo"

di 

- Koldo Serra lancia in Spagna 70 binladens, vibrante film su una rapina in banca, con protagonisti Emma Suárez e Nathalie Poza, che ha raccolto molti applausi all’ultimo festival di Sitges

Koldo Serra • Regista di 70 binladens
Koldo Serra, sul set di 70 binladens

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(2006), e il suo dramma storico Gernika [+leggi anche:
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(2016, montato anch’esso con compagnie provenienti da Spagna, Belgio, Germania, Austria e Stati Uniti) si intitola 70 binladens [+leggi anche:
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, è una produzione spagnola al 100% ed è interpretato da Emma Suárez, Nathalie Poza, Hugo Silva, Bárbara Goenaga e Dani Pérez Cruz.

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Il cineasta rivela in questa intervista, realizzata durante una pausa dalle riprese della serie La casa di carta (per Netflix), alcune chiavi di questo potente thriller, incentrato su una rapina a una filiale bancaria, che arriverà domani nei cinema spagnoli, grazie a Filmax.

Cineuropa: Dopo la mega produzione di Gernika, è stato più comodo per lei lavorare nel formato più modesto di 70 binladens?
Koldo Serra: In realtà, 70 binladens veniva prima di Gernika: la prima sceneggiatura risale al 2011 e abbiamo iniziato a spostarla, finché è apparso l'altro film, 70 binladens si è fermato e poi, grazie a Gernika, ha avuto un’accelerazione. Avevo 70 binladens molto chiaro nella testa, perché ce l’avevo in mente da molti anni e, inoltre, avere un formato più controllabile a livello di produzione è stato più piacevole per me come regista. Ad esempio, è stata la prima volta che sono stato in grado di girare in ordine cronologico, cosa che non penso succederà ancora, potendo organizzare tutto il tempo degli attori e gli spazi, e quindi vedere cosa stavamo facendo per sapere dove dovevamo andare. 

Non dover dipendere da tanti effetti speciali le ha permesso di tenere i piedi più a terra?
Sì, il fatto che fosse una rapina fatta da due mine vaganti si distanziava molto dalle sofisticate tecnologie di ultimo grido che vediamo nei film, quindi queste dimensioni si adattavano molto bene allo spirito che volevamo dare al film.

È la prima volta che gira qualcosa di così frenetico come una rapina?
Ho finito 70 binladens e, dopo 15 giorni, mi sono unito alla serie di Netflix La casa di carta, dove dovevo girare un'altra rapina, anche se su un'altra scala. Come spettatore, mi ha sempre affascinato il thriller, in particolare quello americano degli anni Settanta, i film diretti da Don Siegel, John Frankenheimer o William Friedkin: quei thriller di cospirazione politica mi affascinano. Ma, in effetti, prima di questo film non avevo girato una rapina e ora l'ho fatto due volte.

Quello della rapina è un sottogenere infallibile, come dimostra un altro gioiello cinematografico come Quel pomeriggio di un giorno da cani, firmato da un altro grande, Sidney Lumet.
È così. Volevo che 70 binladens avesse lo spirito di Quel pomeriggio di un giorno da cani e del film francese I senza nome, diretto da Jean-Pierre Melville, e d'altra parte volevo che avesse un’aria più locale: cito sempre come riferimento La estanquera de Vallecas di Eloy de la Iglesia, anche se non ha lo stesso tono, ma quella miscela mi piaceva. Ha anche qualcosa, mantenendo le giuste distanze, di I soliti sospetti di Bryan Singer e La casa dei giochi di David Mamet. L'idea era di allontanarsi dai thriller più moderni e sofisticati come Mission Impossible, perché nel mio film i rapinatori sono due dilettanti che hanno il piano preparato fino a un certo punto... e da lì diventa tutto contorto.

In questo modo il suo film fa una sorta di ritratto di un paese così particolare come la Spagna...
Volevo che il film fosse universale nel mostrare una rapina, ma che allo stesso tempo fosse molto di qui: tutti i personaggi sono reali, fuggono dallo stereotipo americano. Ad esempio, il poliziotto che interpreta Dani Pérez Prada: volevo che fosse normale, un tipo autentico, comune e volgare, che si può trovare ovunque per strada, facilmente identificabile. La stessa cosa accade anche con l'umorismo, che sdrammatizza un po’, perché a volte i thriller americani trasudano troppa solennità e i personaggi hanno una faccia triste tutto il tempo; ma in 70 binladens ci sono un paio di sequenze che alleggeriscono la tensione e che funzionano molto bene con il pubblico, come ho potuto vedere all'ultimo festival di Sitges.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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