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IFFR 2019 Concorso Tiger

Ena Sendijarević • Regista di Take Me Somewhere Nice

"Possiamo diventare chiunque vogliamo una volta che ci rendiamo conto che possiamo costruire la nostra realtà"

di 

- Abbiamo conversato con la regista e sceneggiatrice emergente Ena Sendijarević per saperne di più sul suo film d'esordio, Take Me Somewhere Nice, che esplora la dicotomia Est-Ovest

Ena Sendijarević  • Regista di Take Me Somewhere Nice

La neo regista e sceneggiatrice Ena Sendijarević affronta tematiche come l’identità, l’immigrazione e gli attuali rapporti Oriente-Occidente da un punto di vista totalmente nuovo e attraverso un viaggio di formazione nella sua pellicola d’esordio, Take Me Somewhere Nice [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Ena Sendijarević
scheda film
]
. Dopo la sua prima mondiale nel Concorso Tiger nel 48° International Film Festival Rotterdam (23 gennaio-3 febbraio), abbiamo parlato con Sendijarević delle sue scelte artistiche, del trovarsi “tra” identità culturali differenti e dei frammenti personali nel suo film.

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Cineuropa: Perché è stato così importante per lei raccontare questa storia?
Ena Sendijarević: Con Take Me Somewhere Nice, volevo esplorare tematiche come l’identità, l’immigrazione e i rapporti Est-Ovest attraverso un punto di vista differente e stravagante. Ritengo che, nel nostro mondo sempre più globalizzato, ci siano moltissime persone che si ritrovano tra diverse culture e nazioni. In qualità di regista olandese di origini bosniache, qualche volta mi sento leggermente dissociata quando mi capitano domande sull’appartenenza o sulla nazionalità. Volevo esprimere questa sensazione attraverso l’arte cinematografica, persino celebrandola. Giocando con l’idea stereotipata e tipica dei migranti, della condizione femminile e dei Balcani, o negandola o invertendola, volevo rendere lo spettatore consapevole della nostra realtà così costruita e di conseguenza mutevole. Possiamo diventare chiunque vogliamo, una volta che abbiamo capito di poter essere gli artefici della nostra realtà.

Non teme che il pubblico possa identificarla con la protagonista, Alma?
Take Me Somewhere Nice è un film molto personale, ma non autobiografico. È un film ambientato qui ed ora, su una nuova generazione che sta crescendo in un’era sempre più globalizzata e digitalizzata. Alma, sua cugina e il suo migliore amico, sono degli adolescenti che non possono immaginare un mondo senza cellulare. Io, stessa, ho avuto un’infanzia e un’adolescenza totalmente diversa. A differenza di Alma, non sono nata in Olanda, ma in Bosnia. Il mio rapporto con la Bosnia è alquanto differente dal suo. Ho passato lì i miei primi cinque anni di vita e la mia famiglia fu costretta a lasciare il paese a causa della guerra. Alma non ha questo tipo di storia, per me è come una qualsiasi altra ragazza dell’Europa Occidentale che si ritrova ad avere delle radici altrove, come molte altre ragazze dell’Est. Attraverso i miei protagonisti, volevo esplorare i rapporti attuali tra Est e Ovest. Il film non è un tributo alle mie esperienze personali, è molto più di questo. Si tratta di una scoperta delle dinamiche di potere, vissuta e raccontata dai tre personaggi principali.

La sua identità jugoslava predomina su quella olandese?
Non penso sia così facile come avere due identità fisse che combattono l’una contro l’altra: è molto più complesso. Ed è proprio questo quello che volevo dimostrare e sostenere nel fare questo film.

Perché ha deciso di rappresentare i traumi sociali del periodo successivo alla guerra, specialmente da un punto di vista di una generazione che è nata alla fine?
Era molto importante concentrarsi sulla generazione post-guerra perché ritengo che gran parte della produzione cinematografica bosniaca sia ancora concentrata sulla guerra. È indubbio il fatto che si tratti di storie molto importanti, ma che rendono molto difficile alle nuove generazioni di far valere le proprie idee. Non dico che con questo film parlo per loro. Il concetto principale è l’essere tra due culture, non in Bosnia. Però spero che il mio film possa incoraggiare questi giovani a interessarsi attivamente e a raccontare le loro storie.  È per questo che era così importante per me fare dell’umorismo e dell’alienazione una parte fondamentale del mio film. Volevo essere onesta sulla manipolazione della realtà in quanto regista, specificando che il punto di vista nel film è soggettivo. Spero che raccontando questi personaggi, come anti-eroi affascinanti e divertenti, non vittime tristi, ciò possa portare una nuova energia che ispirerà molte persone a usare la loro immaginazione per esprimere loro stessi e descrivere la propria visione della realtà.

È riuscita a scoprire dove sia questo “bel posto”?
Non ancora, ma non mi fermerò. Penso che forse quando si è innamorati, ovunque sia un bel posto. Ma, sfortunatamente, io non lo sono.

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(Tradotto dall'inglese da Carlotta Cutrale)

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