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VENEZIA 2018 Orizzonti

Emir Baigazin • Regista

“La cosa più importante per me era la componente spirituale”

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- VENEZIA 2018: Abbiamo parlato con il regista kazako Emir Baigazin, che ha presentato il suo terzo lungometraggio The River nella sezione Orizzonti, vincendo come miglior regista

Emir Baigazin  • Regista

Il regista e sceneggiatore kazako Emir Baigazin stupì per la prima volta nel 2013 con il suo film di debutto, Harmony Lessons [+leggi anche:
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, presentato al Festival di Berlino. Dopo l’uscita della seconda parte della trilogia, The Wounded Angel [+leggi anche:
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(2016), Baigazin è tornato quest’anno con l’ultimo episodio, il metafisico, ironico e ricco di effetti speciali The River [+leggi anche:
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intervista: Emir Baigazin
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. Il film è stato presentato nella sezione Orizzonti alla 75a Mostra del cinema di Venezia ed è valso a Baigazin il premio per il miglior regista.

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Cineuropa: Come ha trovato l’ispirazione per questo film?
Emir Baigazin:
 Il processo creativo in generale somiglia al mercurio – una goccia tira l’altra. La prima idea per questo film mi è venuta dopo aver visto un bellissimo tramonto mentre ero in aereo, e in quel momento mi sono tornate in mente le passeggiate lungo il fiume che facevo da ragazzino. Mi sono ricordato di quella meravigliosa sensazione di immensa felicità ed estasi che provavo nel vedere il fiume al tramonto, e ho deciso di farci un film. Per me era importante fare un film su questo stato d’animo, un film senza tragedie o scontri – un film trascendentale. Due settimane dopo, mi sono imbattuto nelle parole di Solomone, contenute nella Bibbia: “I pensieri nel cuore dell’uomo sono come acque profonde”. E questa è stata un’altra fonte di ispirazione per il film. E’ stato lì che mi è venuto in mente di girarlo lungo il fiume. Ho pensato che avrei potuto sviluppare la trama in chiave leggermente diversa, ed è stato ancora lì che ho deciso come concludere la trilogia.

Certamente ho avuto anche altre fonti di ispirazione: personalmente non vedo mai film, ma ascolto la musica, e sono stati proprio il “Preludio in D maggiore” di Beethoven e i quadri di Franz Marc a ispirarmi. Quando stavo già montando le scene, ho guardato le inquadrature che avevamo fatto lungo il fiume, e ne sono rimasto molto soddisfatto. Erano esattamente come le volevo, forse anche migliori. E per qualche strana ragione, sono rimasto molto attratto dalle vetrate delle finestre delle chiese. È stata la forma così precisa di quelle vetrate a influenzare il montaggio del film.

Perché non guarda film? 
Penso di aver già visto così tanti film che in un modo o nell’altro hanno già avuto la loro influenza su di me. Detto questo, non mi dispiace quando il pubblico trova riferimenti o paralleli, se sono tratti da film di qualità, anche se nel cinema non ho un modello di riferimento a cui mi ispiro. Penso che, in questo lavoro, la cosa più importante per me sia la componente spirituale.

Cosa accomuna The River ai film precedenti della trilogia?
Non mi è piaciuto il fatto che nei miei due film precedenti ci si sia soffermati sulla crudeltà dei personaggi senza considerare la loro natura dialettica. Per questo volevo fare un altro film, dove avrei preservato la tensione dei lavori precedenti ma senza mostrare la scena dell’omicidio e sottolineando la natura dialettica dei personaggi. In Harmony Lessons c’era una tensione più cupa, e questa cosa mi è piaciuta poco; fare film leggeri è più difficile. L’idea nello girare questo terzo film era liberare i protagonisti da questo forte senso di colpa e peccato. Mentre giravo la scena finale, quella della danza lungo il fiume, volevo sentirmi di nuovo spensierato, provando ancora quella sensazione di sollievo.

In The River, sembra che lei veda la modernità e la globalizzazione come forze distruttive.
In realtà, nel film ci sono una famiglia e un ospite che viene a trovare questa famiglia. Così facendo, volevo lasciare al pubblico più spazio per le sue libere interpretazioni. L’ospite può essere interpretato in diversi modi – potrebbe essere Dio, come il diavolo o la civilizzazione – perché ci rendiamo conto che non solo distruggerà la famiglia, ma li metterà anche alla prova. Sono curioso di sentire diverse interpretazioni su questo.

Quindi il suo film si muove più su un livello simbolico e archetipico che “politically correct”?
So che questo film può dar vita a entrambe le intepretazioni; il mio compito, da artista, è di creare uno spazio che possa generarle. Penso che stia qui la grandezza e la ricchezza dell’arte. Non si crea un’idea, ma piuttosto un prototipo del mondo, in cui idee diverse possono incontrarsi e scontrarsi.

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(Tradotto dall'inglese da Giada Saturno)

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