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Ása Helga Hjörleifsdóttir • Regista

“Non volevo compromettere la visione della protagonista”

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- TORONTO 2017: La scrittrice-regista islandese Ása Helga Hjörleifsdóttir ci ha parlato del suo film d’esordio, The Swan, proiettato nella sezione Discovery

Ása Helga Hjörleifsdóttir  • Regista

La scrittrice-regista Ása Helga Hjörleifsdóttir ha fatto l’adattamento del romanzo di successo di Guðbergur Bergsson con il suo lungometraggio d’esordio, The Swan [+leggi anche:
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, una storia fragile di maturità e autoesplorazione, che sta prendendo parte al 42esimo Festival internazionale del film di Toronto nella sezione Discovery. Cineuropa ha fatto due chiacchiere con la cineasta riguardo la libertà, il ruolo della natura nella sua opera e le sfide della coproduzione.

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Cineuropa: Quanto è stato difficile fare l’adattamento di un romanzo e quali sono le principali differenze tra il film e la tua versione?
Ása Helga Hjörleifsdóttir:
La sfida più grande è stata forse la prospettiva. Il romanzo è narrato dal punto di vista di una ragazzina di nove anni, la protagonista. L’intero mondo è filtrato attraverso la sua percezione, che non è sempre attendibile quando si tratta della storia. A volte abbiamo persino la sensazione che lei abbia un profondo senso dell’universo, che va oltre il suo personale punto di vista. Attraverso lei sentiamo che le cose stanno per succedere senza sapere per certo cosa è reale e cosa invece appartiene alla sua immaginazione selvaggia e creativa. In un certo senso, il mezzo cinematografico richiede una maggiore chiarezza in termini di ciò che vediamo, ma, nonostante questo, non volevo compromettere la visione di lei. Non volevo uccidere il mistero della sua percezione!

Penso che una delle principali differenze che i lettori del libro potrebbero notare è che ho messo un po’ più in luce i personaggi del contadino e della figlia, dando maggior risalto inoltre al loro rapporto con la ragazza.

Perché il tuo film di formazione deve essere ambientato nella natura selvaggia?
Mi affascina il parallelo che il libro crea tra la natura e la natura umana. È una storia i cui personaggi si perdono continuamente (e vengono ritrovati) nella natura – la natura selvaggia intorno a loro e la natura dei loro stessi cuori. A un certo punto il contadino dice alla ragazza “Pensa al fatto che la natura non chiede mai il permesso per fare qualsiasi cosa. Lo fa e basta e prende ciò che vuole”. E questo è quello che la ragazza impara dalla vita, in qualche modo. Come la vita delle nostre emozioni sia quella landa selvaggia.

È una storia sulla libertà e la maturità; esiste un percorso giusto da seguire per raggiungerle entrambe?
Sì, è proprio una storia sulla libertà e la maturità, e per maturità a volte si intende decidere quanto ci si voglia adattare a una vita convenzionale. Nel film, l’agricoltore e la moglie rappresentano il desiderio umano di "avere una casa" nel deserto che è la natura umana, mentre il contadino rappresenta l’opposto: una vita di caos e libertà emotiva. Questo conflitto è uno dei principali motivi del film, e sia la ragazza che la figlia del contadino ne fanno i conti; questo conflitto tra voler essere “normale” e affrontare la propria vera, complicata natura. La figlia – nonostante il suo carattere ribelle, cerca di fare quello che ci si aspetta da lei, anche se non sappiamo come andrà a finire. Cerca di condurre una vita normale. La ragazza, d’altra parte, sceglie la vita selvaggia. Opta per le imprevedibili, potenzialmente crudeli ali del desiderio e della creazione. Credo che nessuno dei due percorsi sia la risposta giusta o sbagliata – al contrario, probabilmente stiamo tutti facendo i conti con questo conflitto... Almeno io non conosco nessuno che sia riuscito a venirne fuori!

The Swan è la prima coproduzione islandese con l’Estonia in assoluto; com’è stata questa esperienza, considerato il fatto che si tratta del tuo film d’esordio?
Ovviamente può essere sempre una sfida lavorare con qualcuno di nuovo, indipendentemente dalla nazionalità. E sì, essendo il mio primo film, non sapevo sempre cosa aspettarmi in generale! Nel caso di una coproduzione come questa, cose come differenze culturali o diverse aspettative e metodi di lavoro sul set possono entrare in gioco e creare un po’ di conflitto. Durante la post-produzione ho lavorato molto tempo all’estero – ad Amburgo per l’editing e a Tallinn per il sound design – e questo ha avuto di certo le sue sfide, sia geografiche che culturali.

Detto questo, sono molto felice del risultato finale di queste collaborazioni. Perché qualsiasi scontro culturale che si è venuto a creare ha poi dato vita a conversazioni dinamiche e creative che ci hanno obbligato a focalizzarci completamente su quello che volevamo fare con la scena X o Y, migliorando notevolmente il film dal punto di vista artistico. Ognuno aveva una certa libertà che ci ha portati a un risultato magico. Imparare le regole ma non aver paura di infrangerle quando è necessario – questo sembra il giusto equilibrio.

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(Tradotto dall'inglese da Giulia Gugliotta)

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