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Xavier Legrand • Regista

“Questo film è un atto politico”

di 

- VENEZIA 2017: Dopo il suo cortometraggio nominato agli Oscar, l'attore e regista Xavier Legrand torna ad esplorare il tema della violenza domestica in L'affido

Xavier Legrand  • Regista
(© La Biennale di Venezia - foto ASAC)

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intervista: Xavier Legrand
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, presentato nel concorso principale alla Mostra del cinema di Venezia, il filmmaker francese Xavier Legrand racconta la battaglia di una donna che cerca di liberarsi da un marito violento ma, causa di una giustizia sorda alle sue richieste d'aiuto, Miriam (Léa Drucker) si ritrova un'altra volta vittima degli eccessi d'ira di suo marito Antoine (Denis Ménochet). E con lei, anche i suoi figli.

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Cineuropa: Il suo film è molto semplice. Come mai ha deciso di affrontare la storia in questo modo?
Xavier Legrand: È dovuto al fatto che tratto un soggetto difficile. È la storia di un uomo che sta cercando di raggiungere il suo obiettivo e ci prova manipolando costantemente le altre persone, persino suo figlio. Quando si rende conto che non ci sta riuscendo, che non può riavere sua moglie, comincia a perdere il controllo. Volevo che la struttura narrativa fosse il più semplice possibile, per far risaltare tutte le nuance.

Non sembra interessato a indagare l'origine della violenza, ma piuttosto sembra concentrarsi su un breve periodo di tempo.
In Francia, ogni due giorni e mezzo una donna viene uccisa dal suo compagno. Nella maggior parte dei casi, la violenza esplode durante il periodo della separazione o subito dopo, e i figli ne sono testimoni. Ma quando questi casi vengono riportati dai media, vengono trattati come scaramucce familiari, invece che come omicidi. Sono chiamati “delitti passionali”, come se il pover'uomo fosse spinto al limite da un amore non corrisposto e fosse quindi costretto a uccidere sua moglie.

Quando ascoltiamo queste notizie, pensiamo sempre che non ci riguardino. Ma è un errore, perché la violenza domestica può toccare ciascuno di noi. Questo film è un atto politico, perché volevo fare luce sul fatto che violenze come questa possono accadere in ogni momento.

È stato difficile mostrare questi eventi attraverso gli occhi di un bambino?
Thomas [Gioria, che interpreta il figlio di Miriam, Julien] è talmente bravo che mi sembrava di lavorare con un adulto: è un vero talento. Ha una sensibilità intuitiva e capiva immediatamente cose per cui io ho impiegato anni. Da attore, so quanto sia importante poter contare su un compagno di lavoro e seguire i suoi suggerimenti. Mentre scrivevo la sceneggiatura, mi chiedevo come un bambino avrebbe potuto interpretare questo ruolo. Ma quando è partito il primo sparo e Léa ha iniziato a urlare e piangere, lui ha fatto lo stesso. Ero senza parole. 

In Jusqu'à la garde, rifletti su come si può rispondere alla violenza che ci circonda anche se, a volte, è più facile far finta di niente.
Quando si ha a che fare con qualcosa di intimo e privato, come è spesso il caso della violenza domestica, si è portati a pensare di non dover interferire. Dobbiamo invece imparare a reagire e a dare il nostro aiuto, se necessario. Spesso, le donne che sono vittime di violenza tendono a negarlo, dicono a loro stesse che va tutto bene, che è normale. Dovremmo aiutarle a non sentirsi in colpa, devono capire che non meritano quello che stanno subendo.

Mentre creavi il personaggio di Antoine, come volevi raffigurarlo? Sarebbe stato facile farne un mostro.
L'affido assume punti di vista differenti. Ho spiegato a Denis che Antoine cerca di ingannare chiunque. Prima cerca di influenzare il giudice a suo favore, facendogli credere di essere interessato solo a vedere i bambini. Ma una volta che ha ottenuto la custodia, passiamo al punto di vista di Julien e capiamo che in realtà non se ne cura affatto; Antoine vuole usare suo figlio solo per ritornare con sua moglie ed è tutto tranne che un buon padre. Poi lo vediamo attraverso gli occhi della moglie, e quando si presenta da lei e comincia a piangere, dicendo che è cambiato, non gli crediamo. Denis ha dovuto essere convincente in tutti questi momenti. 

Il film comprende anche diversi generi: parte come un dramma ma poi si trasforma in un thriller.
Ancora una volta, la mia idea era quella di ingannare il pubblico. Ho pensato: “comincerà come un dramma giudiziario e poi diventerà Shining” [ride]. Ma pure passando da un genere a un altro, non ho pensato a uno stile visivo specifico. Volevo innescare una tensione attraverso il suono e la ripetizione di certe situazioni. Rivedere le stesse cose ma, in un certo senso, deformate, mentre cresce la spirale di violenza.

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(Tradotto dall'inglese)

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