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Robert Kirchhoff • Regista

“Ogni cicatrice ha la propria storia”

di 

- Il documentarista indipendente slovacco Robert Kirchhoff ha raccontato a Cineuropa la realizzazione del suo ultimo film, che affronta il tema trascurato dell’Olocausto dei rom

Robert Kirchhoff • Regista

Dopo Normalization, il regista, sceneggiatore e direttore della fotografia Robert Kirchhoff, torna ad occuparsi di un argomento spinoso nel suo ultimo documentario A Hole in the Head, uscito nelle sale slovacche il 30 marzo. Kirchhoff, che è anche produttore con la società atelier.doc, ha coprodotto, tra gli altri, il film d’esordio di Iveta Grófová, Made in Ash [+leggi anche:
recensione
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scheda film
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e Disease of the Third Power di Zuzana Piussi.

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Cineuropa: Nel suo documentario precedente, Normalization, affrontava un tema controverso, ora in A Hole in the Head porta sullo schermo un altro argomento difficile come quello dell’Olocausto dei rom. Perché scegliere questo tipo di soggetto?
Robert Kirchhoff: Ogni soggetto scelto per fare un film o per riflettere mi dà l’opportunità di affrontare quell’argomento stesso in modo diverso. È una sfida ed è così che mi sento. Nessuno di questi temi è giunto a me per caso: è sempre a partire da una storia particolare che hanno attirato la mia attenzione. Con Normalization, ho cercato di girare un film di genere, un thriller investigativo, ma c’è una differenza tra le due pellicole. Normalization si basa sui fatti e da essi dipende letteralmente, bisognava seguire la continuità della storia, il passato e il presente, e lavorare con persone che non necessariamente si apprezzano. Nel caso di A Hole in the Head, ho dovuto scovare io stesso i personaggi e così ho dato forma al film. Mi sono trovato di fronte a un dilemma, non sapevo se realizzare un documentario storico classico o un saggio documentaristico. Alla fine ho optato per il secondo. Ho voluto evitare il patetismo – ecco perché il film ha dei momenti di humour, pur parlando di un genocidio – e qualunque forma di drammaticità che potesse nascere dall’associare significati diversi ad un particolare personaggio. Questi personaggi hanno vissuto con i loro traumi e ricordi. Io ho cercato di avvicinarmi a loro a partire dal presente, non dal passato. È la ragione per cui non ho usato né filmati d’archivio né foto o illustrazioni d’epoca.

L’olocausto è il tema principale. Un tema complesso e difficile. Da quale prospettiva ha voluto affrontarlo?
Il tema dell’olocausto è percepito come un soggetto molto pesante, e in effetti lo è. Tuttavia, al tempo stesso mi sono chiesto per quale motivo la società si ostini a dimenticare il passato, malgrado siano stati realizzati molti film e scritti molti libri sull’argomento. Dal momento che il film si basa sulla mia percezione del mondo e del tema stesso, ho provato a procedere con un approccio diverso da quello cui siamo abituati. Non c’è film sull’olocausto che non sia pieno di sofferenza, camere a gas e morte. Di fatto, sono ricostruzioni di un assassinio. In A Hole in the Head, non parlo dei meccanismi della morte. Ero incuriosito da ciò che la gente ricorda o è in grado di ricordare, ma anche da quali siano i ricordi della società, intendendo con essi le testimonianze e la nostra coscienza storica. Ogni persona che vediamo nel film è ancora viva. Molti di loro raccontavano la propria storia per la prima volta. Erano convinti che nessuno avrebbe creduto alle loro parole. E il fatto che il genocidio rom sia un tema così poco dibattuto è anche il risultato del loro rifugiarsi nelle rispettive comunità, isolati dal resto della società.

L’opera doveva inizialmente chiamarsi Through the Forest. Perché ha cambiato il titolo?
In origine, il film avrebbe dovuto raccontare le vite di un gruppo di rom cechi e slovacchi, dal passato al presente. Le persone con cui parlavo continuavano a raccontare di come, in fuga dai nazisti, si fossero nascosti nella foresta. L’idea derivava anche dalla condizione politica e sociale delle comunità rom nel mio paese – una vera e propria selva di proposte, soluzioni inadeguate e isolamento. Il titolo voleva essere quindi una metafora. In seguito, quando l’ho cambiato e ho quasi lasciato perdere l’elemento ceco e slovacco, ho cominciato a usare il titolo attuale. Ma anche quest’ultimo nasce dal materiale e dalle persone che ho incontrato. Un buco in testa può essere fisico o mentale. Ogni cicatrice ha la propria storia.

Sta lavorando a un nuovo progetto?
Mi piacerebbe realizzare un film su come le grandi idee, gli idealismi e le utopie stiano scomparendo dalla società, attraverso un documentario sul leader della Primavera di Praga Alexander Dubček. Il secondo progetto al quale sto lavorando si intitola A Conspiracy of Silence e analizza il destino di due evasi da Auschwitz di nome Rudolf Vrba e Alfréd Wetzler. Vorrei scoprire cosa accadde loro, con un’inchiesta storico-drammatica.

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(Tradotto dall'inglese)

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