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Nicoletta Romeo • Direttore, Trieste Film Festival

Cinema e arte contro xenofobia e diritti negati

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- Con il direttore del Trieste Film Festival Nicoletta Romeo abbiamo discusso dei temi affrontati dai film in rassegna

Nicoletta Romeo • Direttore, Trieste Film Festival

Torna dal 20 al 29 gennaio il Trieste Film Festival (leggi l’articolo), primo e più importante appuntamento italiano con il cinema dell'Europa centro orientale. Giunto quest'anno alla 28. edizione, il festival continua ad essere un osservatorio privilegiato su cinematografie e autori spesso poco noti al pubblico “occidentale”. Con Nicoletta Romeo, che dirige il festival assieme a Fabrizio Grosoli, abbiamo discusso dei temi affrontati dai film selezionati. 

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Cineuropa: Un primo denominatore comune: il “passato che non passa”.
Nicoletta Romeo: C’è un filo rosso che accomuna molti dei film, in maniera trasversale, e del quale ci siamo resi conto solo dopo averli selezionati. Si tratta di opere da Paesi diversissimi tra loro, anche nella loro posizione geopolitica nazionale. Ritorna prepotentemente il “cinema di guerra”. Sia nei film di fiction, in cui si parla di guerre balcaniche e non solo. Ma soprattutto nel documentario: in quelli di Vitaly Mansky, ma anche in My Private War di Lidija Zelović, Comme la rosée au soleil [+leggi anche:
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dello svizzero Peter Entel. Attraverso il cinema del reale si ripensa giustamente a qualcosa che ci tocca da vicino.

Il rapporto tra intellettuali e potere è uno dei leitmotiv di quest’anno.
Soprattutto nella sezione Art & Sound, si torna a raccontare la storia di grandi artisti, performer, artisti azionisti. Come il pittore polacco Zdzisław Beksińsk o Wladyslaw Strzemiński, protagonista del film di Andrzej Wajda Afterimage [+leggi anche:
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intervista: Zofia Wichlacz
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, il celebre fotografo ceco Josef Koudelka del film Koudelka Shooting Holy Land di Gilad Baram. Band di culto come Pussy Riot o quella slovena dei Laibach. Tutte figure ormai emblematiche del mondo dell’arte in Europa. L’arte è dunque vista ancora come strumento sovversivo, soprattutto nei confronti del regime comunista. Questi film sono il racconto di collettivi artistici o singoli individui che hanno canalizzato le idee di un sentimento di ribellione che è molto diffuso in questo momento. Il cinema è anche una finestra su quello che succede in questi Paesi che hanno spesso governi di estrema destra, in cui la xenofobia è ormai dilagante, con gravi problemi di diritti umani. Attraverso i film si approcciano questi temi, magari non in maniera diretta ma filtrati dal mondo dell’arte.

L’emergenza immigrati nell’Europa dell’est è vista da diverse prospettive.
C’è un film che lo stigmatizza molto bene, il bulgaro The Good Postman [+leggi anche:
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di Tonislav Hristov, un documentario poco visto: è la storia  di un postino in un piccolo villaggio al confine con la Turchia che si candida a sindaco con un programma “provocatorio”: ridare vita al villaggio ormai morente accogliendo i rifugiati siriani e afgani.  Peccato che non tutti siano d’accordo, soprattutto quelli con posizioni estremiste. Vincerà una terza via, quella che non prende posizione, che sembra un po’ quella dell’Europa. L’immigrazione è in altri due film importanti. Quello del greco Amerika Square [+leggi anche:
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intervista: Yannis Sakaridis
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di Yannis Sakaridis, in cui si parla del business legato ai confini: c’è molta demagogia e populismo sugli immigrati, ma sappiamo che portano soldi e affari. E l’ungherese in concorso, It's Not the Time of My Life [+leggi anche:
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intervista: Szabolcs Hajdu
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di Szabolcs Hajdu, che parla di una immigrazione “mancata”: il ritorno a casa di una famiglia e il confronto amaro su una integrazione fallita. Colorato e leggero è infine Babylon Sisters [+leggi anche:
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di Gigi Roccati, evento speciale del festival che è una specie di fiaba contemporanea sulle difficoltà dell’integrazione in una città multiculturale come Trieste.

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