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Zoe Berriatúa • Regista

“I film fanno appello alla parte stupida o intelligente del pubblico”

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- Cineuropa ha parlato con l’attore e regista Zoe Berriatúa, che debutta nel lungometraggio con Los héroes del mal, in concorso al Festival di Malaga

Zoe Berriatúa  • Regista

L’attore, autore di cortometraggi e fumetti Zoe Berriatúa debutta nel lungometraggio producendo, insieme ad Álex de la Iglesia, Los héroes del mal, un film brutale, libero e audace sull’iniziazione e la violenza giovanile. Il film fa parte del concorso ufficiale del 18° Festival di Malaga (dal 17 al 26 aprile). Cineuropa lo ha intervistato.

Cineuropa: Vedendo il suo film, si rimane inchiodati alla poltrona, senza muoversi…
Zoe Berriatúa: Certo, perché è un fim inquietante: sono un po’ kamikaze e mi piace far pensare gli spettatori, perché non credo che ce ne siano di intelligenti o stupidi, ma che i film facciano appello alla parte più intelligente o più stupida del pubblico.

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Che cosa l’ha portata a raccontare una storia così, per usare un eufemismo, “speciale”?
Los héroes del mal è basato su situazioni autobiografiche ingrandite, naturalmente: abbiamo tutti avuto amici pazzi ed eccentrici in adolescenza. Ricordo la sensazione di impotenza quando una persona, che non sai se è malata di mente, ti sta minacciando. Perché... che cosa puoi fare contro un criminale minorenne che a 18 anni sta fuori? Niente: questa sensazione ha germogliato questo film fin dalla mia adolescenza, perché avevo alcune cattive compagnie.

Presentando il suo film, ha detto che è è una pellicola senza concessioni.
Ci sono due strade: o giri qualcosa di commerciale, per fare soldi, in cui sei un produttore più che un regista, o fai una pellicola personale, fino in fondo. Credo che un buon film sia sempre commerciale; purtroppo i buoni film in Spagna passano inosservati, ma ho avuto la fortuna di avere come padrino Álex de la Iglesia, che è pazzo come me, anche di più, ed è tra i pochi produttori a voler fare il film che gli piace, non quello che può vendere. E questa è una cosa unica. I miei produttori (Álex, Carolina Bang e Kiko Martínez) sono stati rispettosi e mi hanno lasciato girare quello che volevo, si sono limitati a suggerire delle cose, ma l’ultima parola è sempre stata la mia.  

Prima del suo primo lungometraggio, ha recitato, diretto corti e scritto fumetti...
Sin da bambino ho sempre voluto dirigere, disegnare, raccontare le mie storie. Fare l’attore era un modo per saltare scuola in forma remunerata: ero molto felice, perché era un gioco. Mi sono divertito molto a fare l’interprete, ma non sono innamorato di questa professione: la mia vocazione è costruire storie. Ho dovuto aspettare dieci anni per girare questo film, ma in otto puoi migliorare un bel po’ la sceneggiatura, anche ritmarla con la musica classica che mi interessa. La sceneggiatura è stata scritta affinché coincida con i momenti dei pezzi musicali.

Coreografa le scene?
Misuro i tempi per pianificare la coreografia. E’ come fare un musical, ma con un ritmo e un tono specifico. E’ il lavoro del regista, e di questo deve esserne consapevole: se no, se ne può andare e far girare il film alla troupe. Ho lavorato con registi importanti che potevano andarsene e far fare il loro lavoro alla troupe senza dare fastidio: non si tratta di “dillo più forte o più piano” o di vedere se in un’inquadratura l’ombra di quell’attore si infila in quella dell’altro. Sono stufo di vedere realizzatori, ma non registi.  

Che ne pensa suo padre, Luciano Berriatúa, grande uomo di cinema?
Siamo molto simili. E’ un io con più esperienza, cultura cinematografica e più intelligente. Il mio amore per la musica l’ho ereditato da lui. Questo film è una vendetta personale: ho visto mio padre cominciare più di dieci film senza finirli. Mi ha insegnato tutto quello che so, ma io non volevo fare cinema di guerriglia, come lui, ma con i mezzi.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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