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Michael Haneke • Regista

"Un film semplice"

di 

- Il regista austriaco, che non ama analizzare il suo lavoro, offre qualche spunto di riflessione su Amour

Affiancato dai suoi attori Emmanuelle Riva, Jean-Louis Trintignant e Isabelle Huppert, il regista austriaco Michael Haneke ha parlato alla stampa internazionale (con la sua solita reticenza a interpretare il suo lavoro) della sua ultima opera, il limpido e magistrale Amour, presentato in concorso al 65mo Festival di Cannes.

Perché ha voluto affrontare un tema così invisibile, quello degli anziani che soffrono?
Michael Haneke: Non scrivo mai un film per mostrare qualcosa. Se arrivi a una certa età, ti confronti obbligatoriamente con la sofferenza della gente che ami: i genitori, i nonni. C'era questo all'origine del progetto. Non volevo dire niente sulla società.

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Perché ha scelto il chiuso di un appartamento?
Non volevo fare un film sociale, con ospedali, questo genere di cose viste mille volte. Perché il tema del film è il comportamento della gente. E poi, formalmente, è più gratificante. Se un soggetto ti permette di restare in un solo posto, è ancora meglio. Sono molto contento di aver fatto un film semplice.

Il suono e le voci hanno un grande ruolo nel film. Qual è il suo metodo in questo ambito?
Lavoro sulle emozioni, sulla loro giustezza. Naturalmente, nei dialoghi c'è una musicalità interiore che bisogna trovare. Lavoro più con l'orecchio che con i miei occhi perché lo senti subito se un'emozione è giusta. Quando guardi, ci sono talmente tante cose che diventa più difficile.

Che dice della violenza del film e del disagio in cui può mettere lo spettatore?
La violenza è un tema che torna sempre nelle domande che mi fanno. Ma io non la vado a cercare. Nella vita, ci sono momenti piacevoli e altri che lo sono di meno. E' così per tutti i sentimenti come la violenza e l'amore.

Gli attori soffrono nei suoi film?
Io creo nel modo più efficace possibile, con uno sguardo freddo. E' un'idea romantica quella di pensare che sia necessario un set triste per fare un film tragico. Per gli attori, non è una questione di sofferenza, ma di concentrazione.

In quale direzione hanno lavorato gli attori?
Jean-Louis Trintignant: Michael non voleva che fossimo sentimentali, piagnucoloni. Non giravo da 14 anni e non volevo più fare cinema. Ho accettato perché si trattava di Michael Haneke, un regista eccezionale, uno dei più grandi al mondo. Ma non avevo mai incontrato un regista così esigente. Conosce alle perfezione tutte le discipline del cinema. Ho girato più di 100 film, ma è la prima volta che sono contento di rivedermi sullo schermo.

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