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Céline Sciamma • Regista

“Niente sarà come prima”

di 

- Incontro a Parigi con una regista e sceneggiatrice di 30 anni che ha cominciato la sua carriera in modo folgorante con due film originali selezionati a Cannes e a Berlino

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Céline Sciamma: Avevo questa storia in testa, o almeno la situazione di partenza, da due o tre anni, ma non pensavo che sarebbe stato il mio secondo film. La spinta è stata quella di fare un film molto presto, di girare immediatamente. Ho pensato che questa storia fosse ideale per avere questa energia, per rispondere a queste esigenze di produzione e per realizzare un film leggero. E desideravo trattare l'infanzia, fare un film solare e dinamico, con diverse sfide da affrontare dal punto di vista della regia. La logica mi spingeva verso un film più pesante, quattro anni dopo un'opera prima che aveva avuto abbastanza successo da darmi il diritto di rimettermi in gioco. Ma ho voluto rispondere a questa pressione in un altro modo, lavorare nell'emergenza, vivere l'utopia che si possa fare cinema quando si ha voglia e avere una storia che soddisfacesse il mio interesse per le questioni dell'identità, del genere.

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Perché è affascinata dalla questione dell'identità?
E' un serbatoio di finzione davvero appassionante. Crea storie, una drammaturgia intorno alla menzogna, al doppio gioco, la doppia vita, l'alterità, l'altro in sé: motori di finzione molto forti. Ma quando dico identità parlo anche di Avatar di James Cameron. All'improvviso, si crea una distanza da questo interesse intimo che sicuramente ho e posso proiettarmi nella storia e nei personaggi.

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, parla di un'altra età di transizione, tra infanzia e adolescenza.

E' come un'altalena e niente sarà più come prima: è il livello d'azione che mi piace. E' così che amo entrare nelle storie da spettatrice e come regista. Questo permette un lavoro di identificazione, di empatia. E cerco sempre di pensare in termini d'azione, anche se tratto tematiche intime.

Fino a che punto desiderava fare un ritratto dell'infanzia?
La mia intenzione era di collocare il personaggio principale nell'ambito delle sue relazioni, ma non volevo fare una cronaca dell'infanzia. Il progetto aveva tre tracce: il ritratto d'infanzia reso dinamico da una vera storia, e l'incontro fra i due, una sfida dal punto di vista della messa in scena. Sono stata attenta a sganciarmi dall'aspetto del dramma sociale perché volevo che ci fossero sorrisi, risate, e lavorare sui contrasti. L'infanzia lo permette.

Quanto pesa l'inconscienza nella doppia vita del personaggio principale?
Un quiproquo le permette di cogliere un'occasione, anche se questa menzogna e questa falsa identità non sono gli obiettivi primari. Ma ci sono anche cose che rientrano nell'ordine del desiderio nascosto. Ho fatto in modo che il film fosse molto aperto sulla questione. Alcuni potranno pensare che sia l'occasione a fare l'uomo ladro e che sia soltanto un gioco, mentre altri si diranno che questo problema d'identità si presenterà più tardi. A dire il vero, il film non dà risposte.

La foresta è uno spazio libero in cui la menzogna di Laure svanisce in opposizione alla vita familiare nell'appartamento.
Fuori, c'è questo spazio di finzione dove fa ciò che vuole. Volevo una natura accogliente, rigogliosa. Fuori, lei respira. Dentro, si sente più confinata, ma non volevo creare un'opposizione troppo binaria: allo stesso tempo, c'è il piacere di stare con la sorellina, la tenerezza con il padre. E' una doppia vita e lei ama queste due vite, una delle quali è uno spazio in cui lei si reinventa.

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