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Mario Martone • Regista

Un Ottocento tra passato e presente

di 

- Ispirato a vicende storiche realmente accadute durante il Risorgimento italiano, Noi credevamo è il film in costume che Mario Martone ha portato in Concorso alla Mostra di Venezia. Cineuropa l'ha incontrato in quella occasione

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è certamente un film che rimanda alla storia italiana del presente.

Mario Martone: Il film nasce da una spinta al presente, ricondotta poi rigorosamente sotto il profilo storico. Non abbiamo voluto cercare delle forzature o strizzare l'occhio all'attualità. Tutte le parole che vengono pronunciate dai personaggi storici derivano da loro scritti e lettere, è un'opera rigorosamente documentata. Nello stesso tempo, il rapporto con l'oggi è molto forte, ma quello che per me conta è che sia lo spettatore a cogliere quel rapporto.

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Nel film compaiono elementi scenografici moderni.
Con la scenografa e tutta la troupe ho cercato di ricreare un Ottocento diverso da quello che siamo abituati a vedere. Una diversa visione storiografica corrisponde ad una differente visione iconografica. Non volevamo l'Ottocento derivato dall'impostazione viscontiana che fa da matrice a tutto l'Ottocento rappresentato cinematograficamente. Da una parte c'è il massimo rigore, anche topografico, come per il processo alla banda Orsini nel carcere di Montefusco. Dall'altra parte era importante segnalare che non stavamo ricostruendo , ma cercavamo una reviviscenza nell'oggi.

Ha avuto difficoltà a mantenere la scelta di una lingua derivata dall'800?
I dialoghi lunghi in una lingua obsoleta spaventavano i produttori, ma non ho ceduto. Derivano da testi originali, gli attori si sono così confrontati con la lingua originale dell'Ottocento. Gli interpreti hanno accettato la sfida di ridare vita a quella lingua, evitando di far parlare i loro personaggi come se fossero dei giovani d'oggi, ma puntando a far comprendere il rapporto tra quel passato e il nostro presente. Ho chiesto loro un taglio antinaturalistico, in qualche modo teatrale, e che fosse in rapporto con la musica.

Le musiche sono una componente melodrammatico essenziale.
L’idea di partenza è venuta ascoltando l’Otello, dirigeva Muti all’Opera di Roma, l’aria 'Dio! Mi poteva scagliar': grazie al fatto che eravamo in teatro, riesco a sentire l’orchestra separata dalla voce e capisco che quella musica in qualche modo è, sì, melodramma, ma c’è qualcosa di molto tormentato. Partendo da lì abbiamo, poi, cercato le scelte che musicalmente avessero sempre un carattere di qualcosa che gira a vuoto, che gira intorno, e le abbiamo trovate disseminate in diverse opere principalmente di Verdi.

Nel finale si ascoltano le parole del personaggio di Angelo riferite all'Italia "gretta, superba e assassina" che ha davanti a lui.
Sono le parole che concludono il romanzo di Anna Banti. Si riferiscono all'Italia subito dopo l'Aspromonte (quando l'esercito regio fermò il tentativo di Garibaldi e dei suoi volontari di completare una marcia dalla Sicilia verso Roma e scacciarne papa Pio IX, ndr), ma quest'Italia ha continuato a esistere negli anni successivi, sino ai giorni nostri. Per fortuna ha continuato a persistere un'Italia democratica che a quella si è opposta. Questo scontro ha origine nel nostro Risorgimento e attraversa tutta la storia italiana successiva. Non è uno scontro tra destra e sinistra, ma tra due anime antropologiche del Paese: autoritarismo e democrazia, declinabili in modi diversi. Nel film i contesti in cui si svolge questa dialettica sono differenti, per esempio all'interno del carcere. Esiste in Italia una spinta autoritaria, un rapporto tra le paure profonde del nostro Paese e la necessità di affidarsi a una illusoria forza che dall'alto ci guidi in maniera forte e che in realtà in 150 anni ha prodotto molte tragedie.

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