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PhilippeBober • Venditore/Produttore

Coproduction Office: la strategia della selettività e della maturazione

di 

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dell'italiano Michelangelo Frammartino alla Quinzaine des réalisateurs. Tre titoli che Philippe Bober ha anche coprodotto attraverso la sua struttura tedesca (Essential Filmproduktion) e francese (Parisienne de Production).

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Cineuropa: Siete riusciti a piazzare tre titoli della vostra ristretta line-up sulla Croisette. Qual è il vostro segreto?
Philippe Bober: La sinergia tra le nostre attività di produzione e di vendita ci rende esigenti nella scelta dei progetti. Non sottostiamo, ad esempio, all'obbligo che hanno molti produttori di pagare un fisso per le produzioni locali. Avere libertà di scelta è sempre stata la mia ossessione. Ho anche passato tre mesi all'anno, per più di 15 anni, a visionare film, andare ai festival, cercare informazioni sui registi: concentrarsi su pochi film è una scelta e il risultato di questo lavoro. I registi con cui collaboro oggi erano assolutamente sconosciuti quando cominciai a lavorare con loro, come Kornél Mundruczo nel 2001 con il suo cortometraggio Afta. Per fare questo tipo di incontro, con un regista di corti ungheresi, bisogna vedere molti film, forse più degli altri. E poi, sono fedele agli autori: lavoro con Cristi Puiu dal 2005, con Michelangelo Frammartino dal 2003, con Jessica Hausner e Ulrich Seidl dal 1999, con Roy Andersson dal 1996. Gli autori e la società crescono in parallelo.

La vostra line-up rispecchia quella di un cinefilo esigente.
Non sono le storie che mi interessano, altrimenti sarei un editore. E' la trasposizione in immagini delle storie, il linguaggio cinematografico, in particolare i registi che si interrogano su questo linguaggio e lo spingono oltre. Più della metà dei film che seguo non hanno sceneggiatura: registi come Andersson e Seidl fanno molte cose in fase di produzione. Quando conosci il modo di lavorare di un regista, non è per forza la sceneggiatura a determinare la tua scelta. E' una chiave, ma ciò che più conta è la messa in immagini.

Cannes è una piattaforma indispensabile per la circolazione di questo genere di opere?
E' un marchio di qualità, un festival che ispira fiducia (cosa che non si può dire di tanti altri festival internazionali) e che la gente capisce. Avere questo marchio in locandina facilita enormemente le cose. Inoltre, è anche una macchina per vendere film, il luogo al mondo dove ci sono più compratori. Spesso organizzo i calendari di produzione in modo tale da poter presentare i film a Cannes.

Qual è la sua opinione sulla congiuntura dei mercati?
Quello scorso è stato il nostro migliore anno in termini di vendite, poiché avevamo quattro film "art-house", ma "cross over": Panique au village [+leggi anche:
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e Tetsuo. Il caso di Lourdes è interessante perché è il nostro terzo film con Jessica Hausner, e quello che si è venduto meglio. Credo molto alla maturazione. E' quasi una regola per i registi con cui lavoro: partono da un cinema estremo e poi, poco a poco, si avvicinano al pubblico.

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