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Realtà virtuale: uno strumento al servizio della creazione cinematografica e mediatica?

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- La realtà virtuale, un’esperienza in cui “virtualmente tutto è possibile”

Realtà virtuale: uno strumento al servizio della creazione cinematografica e mediatica?

I primi passi della realtà virtuale (virtual reality o VR) sono avvenuti prima di quanto possiate immaginare, molto prima del boom tecnologico degli anni ‘90 e 2000. È effettivamente nel 1962 che la VR vede la luce, con Sensorama, il primissimo cinema immersivo creato da Morton Heilig. Con gli anni i tentativi, i progetti, gli esperimenti... si susseguono senza portare i risultati sperati. I primi strumenti della realtà virtuale (DataGlove, I-Glasses, Virtual Boy) sono troppo voluminosi, troppo costosi, le performance non sono ottime, e hanno dunque vita breve.. perfino nel mercato dei videogame, il primo al quale si destinavano.

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Ma gli anni passano, la tecnologia evolve... e la VR con essa. In costante evoluzione, questa tecnologia non si limita più ai videogame, ambito nel quale si scontra da un po’ con una certa concorrenza (PlayStation VR, Oculus Rift, Samsung Gear VR) ma si mette poco a poco al servizio di ambiti quali la medicina o l’educazione. Nel campo della medicina ad esempio, la VR promette di contribuire alla formazione dei futuri medici, ma si pone anche come strumento terapeutico. I professionisti del settore della salute hanno capito bene come poter fare buon uso di questa innovazione tecnica. Di fatti utilizzano già la VR per il trattamento di fobie e della depressione, per delle campagne di sensibilizzazione di certe malattie (come l’esperimento del laboratorio Janssen sulla schizofrenia), nel campo della chirurgia robotizzata, della riabilitazione funzionale o della diagnostica per immagini (progetto di ecografia VR).

Del resto questo cambiamento non riguarda solo la medicina: da qualche anno alcuni musei si servono della realtà virtuale. Tra loro troviamo il Salvador Dalí Museum (Florida), il British Museum (Regno Unito), l’Institut royal des Sciences naturelles (Belgio), il Canadian Museum For Human Rights (Canada) o il MOSA. In futuro, non sarebbe strano vedere utilizzare i caschi di realtà virtuale o aumentata come strumento pedagogico assieme alle lavagne interattive e ai tablet presenti già oggi nelle classi.

In un contesto del genere, perché altri settori come quello dei mass media o del cinema, non dovrebbero lanciarsi nella VR? La questione tormenta autori e registi.

In effetti la maggior parte di loro è ancora molto reticente all’uso della VR : una tecnologia considerata in fase evolutiva, non sempre associabile alle opere di finzione, e che rischia di far apparire i contenuti ripetitivi. Altri invece, hanno deciso di cogliere la sfida della VR, in cui vedono nuove opportunità per liberare la loro creatività, realizzare progetti in cui la narrazione e lo spazio hanno come unico limite la percezione dello spettatore. A partire da questo momento, la VR non si limita ad essere una semplice fonte di “divertimento” ludico o spettacolare, ma rappresenta una nuova forma di narrazione, simile a quella del teatro o della scenografia, con un’immersione in prima persona, patrimonio del mondo dei videogame. Se uno spettatore di documentari o film “tradizionali” è “contemplativo”, in un progetto di realtà virtuale potrà immergersi nella storia, diventare un “attore” nello scenario immaginato dall’autore interagendo con l’universo che quest’ultimo ha creato... Anche se, per il momento, quest’interazione resta più limitata rispetto a quella possibile nei videogiochi, dove la libertà d'azione è maggiore. Ma questo non basta per fermare autori e registi, che si lanciano in progetti ambiziosi e innovativi, progredendo a piccoli passi in una tecnologia in costante evoluzione.

È il caso di Nicolas Peufaillit, che nel 2010 ha ricevuto il premio César come migliore scenario per il film Il Profeta. Ha deciso di puntare su un progetto di opera di finzione in VR, dal titolo Les Passagers. La fiction si svolge a bordo di un treno, dove quattro passeggeri sono in viaggio. Lo “spettatore” può, grazie alla VR, entrare nella mente di ogni viaggiatore, seguirne i pensieri e i ricordi e modificare la storia in tempo reale con un semplice sguardo, Ed uno dei mezzi, se non IL mezzo, per attirare questo sguardo è il suono, che acquisisce in questo caso un ruolo importante per la narrazione...

Anche Marc-Henri Wajnberg ha deciso di buttarsi a capofitto nell’avventura della VR. Sta attualmente realizzando un documentario in realtà virtuale, sulla vita dei bambini delle strade di Kinshasa. Il titolo è Dans la peau d’un Shégué (ndt: Nella pelle di uno shegué) . In questo documentario in VR, fortemente ispirato alla serie di documentari Kinshasa Kids, lo spettatore dovrà scegliere una delle opzioni sullo schermo, ognuna delle quali condurrà a una situazione sociale diversa, inscritta nella trama narrativa in 12 tappe previste da Marc-Henri Wajnberg.

Questi due progetti sono solo degli esempi tra le innumerevoli e illimitate possibilità di creazione che la VR offre. L’unico limite è forse l’immaginazione dell’autore. In un mercato ancora inesplorato, oggi i progetti di VR abbondano. I finanziamenti sono difficili da ottenere, a causa della mancanza di un piano di finanziamento ad hoc, che resta ancorato ai criteri che si applicano al cinema; mancano anche strutture destinate unicamente alla VR. Ad oggi, in Francia, gli autori possono ottenere un finanziamento dal Centre national du cinéma et de l’image animée (CNC France), dall’Europe Créative MEDIA o dalle grandi catene di distribuzione di contenuto audiovisivo come Orange.

Perché in VR c’è ancora tanto da fare... E non solo dal punto di vista creativo.

(Tradotto da Dalila Minelli)

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